Gianni Riotta: E il Giornalismo si Fece Storia

16 Giugno 2006
Nella sua ultima lettera a un amico ed allievo, e tantissimi ne aveva nelle generazioni del giornalismo italiano, Paolo Murialdi poneva ‟una serie di quesiti” per aggiornare il suo saggio Il giornale apparso dal Mulino. A 86 anni confessava ‟di non essere più al corrente di tante cose cambiate o arrivate negli ultimi anni” e chiedeva ‟una mano”. Ma, nelle questioni poi redatte, non con la bella grafia a stilografica ma con la precisione del testo stampato, rivelava cultura e curiosità su Internet (la pioniera Anna Masera l’aveva istruito sui new media), sulle frontiere etiche, sulla metamorfosi dei quotidiani nell’epoca dei blog, i diari online. Paolo Murialdi, partigiano combattente, giornalista, storico della nostra stampa, docente universitario, presidente della Federazione stampa italiana e tesoriere della Federazione mondiale, consigliere della Rai, è scomparso ieri a Milano. Fino all’ultimo lavorando a questa fatica, con il suo stile, ‟Non c’è fretta”. Senza fretta il ragazzo, nato l’8 settembre 1919, s’era ritrovato il giorno del suo compleanno, l’8 settembre 1943, a decidere cosa fare della divisa da ufficiale ventiquattrenne. Figlio d’arte, il padre Vezio era un buon cronista sportivo del ‟Secolo XIX”, Murialdi fa la cosa giusta e sale in montagna, con le Brigate Garibaldi, agli ordini di ‟Edoardo”, partigiano di cui schizzerà il ritratto nelle memorie di guerra La Traversata: ‟Ricorda un po’gli alpini e un po’i campi da sci: giacca a vento lunga e gialla, fuori ordinanza, calzoni grigioverdi da ufficiale, calzettoni bianchi, scarpe Vibram. Non porta armi”. ‟Edoardo” è Italo Pietra e reincontrerà Murialdi nel dopoguerra, affidandogli, direttore de ‟Il Giorno”, le pagine culturali che Murialdi, lasciando il ‟Corriere della Sera” dove è redattore, rivoluziona alla anglosassone, assumendo critici e scrittori (Pietro Citati), grafici (Tullio Pericoli) che polverizzano l’arcadia pantofolaia delle terze pagine. Ma prima di ritrovarsi a mutare registro nel giornalismo, ‟Edoardo” e Murialdi devono vivere la giornata della cattura e dell’esecuzione del dittatore, Benito Mussolini. Murialdi, in montagna come in redazione nemico di ogni retorica, ha scelto per la Resistenza il meno roboante dei nomi di battaglia, ‟Paolo”. Combatte come scriverà e redigerà le sue pagine, senza viva né abbasso, con ragione innescata dalla passione, mai rauca. Né Pietra né Murialdi sono comunisti, e quando Audisio e Lampredi, inviati dal leader del Pci Longo, chiedono un camion per raggiungere Mussolini, ne offrono uno piccino, un Oves Ticino scoperto. Proveranno a schermare a Milano, a piazzale Loreto, i cadaveri di Mussolini e della Claretta Petacci dalla furia della folla, ‟anche con gli idranti”. E quando il gerarca crudele Fiorentini verrà arrestato, Murialdi gli risparmia la vita con Pietra, unica punizione subire l’eco di un coro partigiano. Dal Corriere e dal Giorno Murialdi inaugura uno stile sobrio, frugale, preciso, rigoroso, temperato dall’ironia. Lavorando ai suoi saggi, le monumentali Storia del giornalismo (Mulino) e La stampa italiana del dopoguerra (Laterza), non cede alla prosa parruccona dei baroni, ma compila come un ‟don” dei colleges anglosassoni, brillante e severo. Guida i giornalisti della Fnsi in una stagione di fermenti ideologici, Pci, Psi, Dc, nuova sinistra, con senso della misura, appoggiato dal segretario Piero Agostini. Finita l’esperienza sindacale, sale in cattedra all’università, la Bocconi di Claudio Demattè, Pavia, Torino, città cui lascia il suo immenso archivio, non prima di aver regalato a un ex allievo uno dei pezzi più preziosi, la copertina del settimanale Time con il volto di Hitler, sfregiato nel 1945 da due baffi di vernice rossa. Nel 1976, mentre l’amico Giampaolo Pansa denuncia i ‟comprati e venduti” del giornalismo e l’ombra della P2 si allunga sulle testate, Murialdi fonda a Bologna Problemi dell’informazione, rivista che sarà a lungo il forum di riflessione dove l’angusta provincia delle redazioni italiane respira la cultura della stampa globale. Non c’è pensione per Paolo Murialdi. A un’età in cui perfino la terza carriera, dopo i giornali, le aule universitarie e i libri di storia, potrebbe concludersi, si vede chiamare a Roma dal presidente Rai Demattè, a sedere in quel consiglio che cronisti con più sarcasmo che cultura definirono dei ‟professori” e che invece nomina galantuomini, Volcic, Garimberti, Grasso. La cronaca delle grottesche pressioni dei politicanti, delle ambizioni smodate di troppi, delle camarille e degli intrighi, finisce nel diario di Murialdi Maledetti professori (Rizzoli), arguto, candido, malinconico. Il decano dei giornalisti, sereno, curioso, pacifico, sarà sepolto oggi in forma privata. Lascia la moglie Cristina e le bozze del libro. Ammoniva gli amici, ‟senza valori, la professionalità non basta”, adottando il motto di Calvino: ‟Siamo uguali davanti alla morte, non davanti alla storia”.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …