Gianni Riotta: Per chi suona il telefonino?

21 Giugno 2006
Quando si parla di valori, di ideali, di etica nella vita pubblica, non solo in politica ma nelle aziende, scuole, uffici, nei media e nella cultura, spesso si ha l'impressione di essere o irrisi o compatiti. C'è chi insinua l'eterno, italiano, ipocrita grido di ‟chi te lo fa fare?” e chi invece suggerisce con un ghignetto il classico ‟così fan tutti” che trasforma spesso il nostro paese in una deprimente commedia dell'arte. Da un anno ci appassioniamo invece al reality show delle intercettazioni, magnifica commedia umana dei costumi e modi della nostra classe dirigente, o meglio degli Arlecchini, Pulcinella, Balanzone, Capitan Fracassa, Colombina e piacenti Sor Pantalone che si arrabattano a dirigerci.
Prima le scalate alle banche e ai giornali, con i prestanome e i vip discreti, intenti a un gioco del monopoli così squallido che il sarcasmo di Verdone, dei Vanzina e la rubrica ‟cafonal” del sito di Roberto D'Agostino, con le sue maschere intente a sgargarozzarsi di caviale all'ultimo party, diventano la Gazzetta Ufficiale della Peggiore Repubblica. Poi Calciopoli con la passione candida di milioni di tifosi prostituita a truffa e scommesse, con i penosi risultati di filosofia sportiva visti in campo in Italia-Usa. Infine lo scandalo dei Savoia, con contorno di politici legati alla destra. C'è chi, come il solerte guardasigilli Mastella, si preoccupa adesso della privacy, virtù sacrosanta e coltivata su queste smilze colonne in tempi non sospetti. Ma se guardare dal buco della serratura è poco elegante, quel che avviene nelle stanze, furti, ruberie, concussioni, molestie pecorecce, è ben peggiore.
Considerare innocenti tutti i coinvolti è per noi esercizio abituale di sereno garantismo. Ma non c'è bisogno di essere Balzac per riconoscere il linguaggio comune della corruzione che, non meno del prodotto lordo in crisi, delle università fatiscenti e delle nascite calanti, parla chiaro del declino italiano. Il canovaccio vede sempre i protagonisti chiedere per sé, per la propria banda e per le bande complici. Non ci sono candidati meritevoli o strategie e progetti migliori, ci sono i propri interessi e crepi il resto. Le regole sono steccati per i poveracci, da ignorare: e i controllori, magistrati, forze dell'ordine, giornalisti, autorità di garanzia, vanno corrotti (con facilità, sembra), coinvolti nella greppia o infine delegittimati, calunniati, isolati, come ingenui, fessi, gente che ‟non sa stare al mondo”. Non è vero che così fan tutti. È vero piuttosto che, finché permetteremo a pochi, in politica, in economia, nello Stato e nella cultura, di consumare come parassiti l'Italia, il Paese non avrà né innovazione né efficienza.
Rida chi vuole, scuotendo la rigogliosa coda di paglia: le persone perbene, capaci di preoccuparsi della comunità e non solo di se stesse, possono bonificare la palude dello status quo improduttivo che ingoia riforme e progressi. Il tempo stringe e la ‟feccia alata” tesse al telefonino la trama che ci corrode. Non è davvero sequestrando il computer alla collega Fiorenza Sarzanini, rea di avervi fatto partecipi di come vengano divise le spoglie nei ristoranti e nelle tribune d'onore degli stadi, che si salva la Repubblica. È fermando chi non vuole limiti a sé e alla propria lobby che l'antica saggezza di lasciare il frutteto migliore di come l'abbiamo trovato rilancia l'Italia. Ed è grave che i nostri leader guardino a queste baruffe gongolanti quando colpiscono gli avversari, corrucciati quando li favoriscono. Non andate perciò a chiedere per chi suona il telefonino. Esso suona per tutti noi, chiamandoci al referendum cruciale tra libero sviluppo e basso impero delle lobby.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …