Massimo Mucchetti: Non tutta l’Italia è in vendita

28 Agosto 2006
Il progetto di fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo-Imi ha ottenuto la benedizione del governo prima ancora dell’avallo dei consigli di amministrazione convocati per domani. Questo sigillo di Romano Prodi e Tommaso Padoa- Schioppa ricorda quello, in verità più generico, di Massimo D’Alema all’Opa di Olivetti su Telecom Italia. In entrambi i casi l’ansia per la formazione di una compagine azionaria nazionale fa premio sul galateo che suggerisce alla politica di esprimere i suoi giudizi in simili materie dopo le decisioni prese nelle sedi deputate. Tanto più nel momento in cui la Banca d’Italia, innovando un’antica tradizione, rinuncia a esercitare la moral suasion prima dei consigli. Sia nel caso dell’Opa Telecom sia in questo, tuttavia, al plauso del governo si è associato quello dell’opposizione. Una convergenza che significa una cosa sola: l’Italia non è tutta in vendita; con la cessione alle banche estere di Bnl e Antonveneta, ha già dato abbastanza. Del resto, uno dei promessi sposi, il Sanpaolo, ha già patito il nazionalismo altrui quando si è visto bocciare in Belgio la fusione con il Dexia. La nuova banca avrà ora le dimensioni per tentare operazioni all’estero non meno importanti di quella conclusa da Unicredito in Germania. Intesa e Sanpaolo, in realtà, volevano Capitalia e Monte dei Paschi, ma l’aggregazione tra un grande e un medio non è andata in porto. E così sono diventate possibili le nozze tra due grandi, più ambiziose per definizione. Benché non nell’immediato, sia Intesa sia Sanpaolo-Imi erano a rischio di scalata e, comunque, dovevano fare i conti con gli interessi dei loro soci esteri, Crédit Agricole e Santander. Questo rischio e questa remora vengono meno con la diluizione delle partecipazioni di tutti i soci determinata dalla fusione. Ma questa non è la sola novità. Nel rimescolamento delle carte il baricentro della nuova compagine passa in capo alle fondazioni: Compagnia di San Paolo, Cassa di Padova e Rovigo, Carisbo, che trasformeranno in ordinarie le loro azioni fin qui sterilizzate in titoli privilegiati, e poi Cariplo, Cariparma e, fuori dai patti, Carivenezia. Le fondazioni sono abbastanza numerose perché qualcuna possa puntare all’egemonia, ma anche abbastanza forti, nel loro assieme, per fare di Intesa-Sanpaolo la banca delle fondazioni. Un modello diverso da quello di Unicredito, la banca dei manager, anche se va detto che Unicredito è diventato tale con Hvb, fortemente voluta dalle «sue» fondazioni. La governance sarà imperniata sul consiglio degli azionisti e sul consiglio di amministrazione. Per quanto già sperimentato all’estero, questo doppio registro obbedisce anche alla necessità di rispettare gli equilibri di potere. È il pedaggio inevitabile quando si fanno fusioni e non si compra per contanti. Un pedaggio al quale le due banche non sarebbero sfuggite assorbendo Capitalia e Monte dei Paschi. Sul piano industriale, per il momento, è chiaro solo che ci saranno forti riduzioni di personale negli uffici centrali. Ed è anche per questa ragione che la Borsa ha festeggiato. Ma la nuova banca dovrà sciogliere più di un nodo: cedere o meno al Crédit Agricole gli sportelli in eccesso; come dare coerenza al risparmio gestito e ai prodotti assicurativi, dove le nubende parlano lingue diverse; quale rapporto avere con le imprese, se commerciale o aperto a comuni investimenti per lo sviluppo. Sono scelte che faranno discutere. Già oggi c’è chi avverte pensando a Unicredito: una banca privata non è strumento di politica economica o industriale. E chi replica: se non si investe nell’economia reale, a lungo termine anche i valori finanziari scemano. È probabile che Unicredito e Intesa-Sanpaolo seguano modelli diversi. Anche questo è mercato. E alla fine parleranno i risultati.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …