Massimo Mucchetti: Telecom, i messicani e le necessità del sistema Italia

17 Aprile 2007
Ci si può fidare di Carlos Slim? Chi ha deciso di vendere il controllo di Telecom Italia può stare tranquillo, l’uomo è solvibile. Per tutti gli altri portatori di legittimi interessi in Telecom, invece, Slim suscita altre preoccupazioni. E queste non si cancellano osservando che, se uno paga un premio del 30%, vuol dire che pensa di fare meglio del venditore. In base a questo argomento, Marco Tronchetti Provera, avendo pagato un premio dell’80-100%, avrebbe dovuto fare meraviglie e invece ha fatto perdere soldi alla Pirelli e occasioni a Telecom. Del resto, prima di domandarsi se un’eventuale cordata italiana o europea persegua scopi inconfessabili, bisognerà pur porci lo stesso interrogativo per il signor Slim. Che, non dimentichiamolo, investe poco per comandare molto. Carlos Slim, per cominciare, non si presenta in modo trasparente. Dice di non avere accordi con l’At&t per Telecom Italia e del resto, come la compagnia texana, non spiega quali progetti abbia. Eppure, nello stesso giorno lui e il suo amico Whitacre presentano offerte uguali per quote uguali di Olimpia, che ha il 18% di Telecom. Inoltre tra le sue società e At&t intercorrono storici intrecci azionari che spiegano come Slim abbia potuto convincere gli yankee, in uscita dall’Europa, a entrare in questa partita. Combinazione, il fondo Brandes, texano anch’esso e appena salito al 5,4% di Telecom, opera in America Movil. Sarà anche il secondo miliardario al mondo, la Borsa avrà rivalutato a dismisura Telmex e America Movil (quest’ultima del 913% in 5 anni) ma Slim non sembra aver molto da insegnare all’Italia. Di lui si sa che entrò nelle telecomunicazioni nel 1990, rilevando Telmex dal governo amico di Salinas a prezzo vile e con protezioni ferree: la maggioranza del consiglio di amministrazione deve essere composta da cittadini messicani eletti da azionisti messicani. I diritti di voto di Telmex sono concentrati nelle azioni dei tipi AA e A, in mano quasi per intero a Slim e ad At&t. La maggior parte del capitale di rischio è portato dalle azioni di tipo L, riservate per lo più ai soci di minoranza. Lo schema è ripetuto nella società dei cellulari. Le azioni AA e A sono intestate ad altre società quotate. Il vizietto delle piramidi societarie non è solo italiano. Del resto, Slim entra in Telecom Italia non attraverso un’Opa, ma per la scorciatoia di Olimpia. Telmex e America Movil hanno un fatturato aggregato di 28 miliardi di euro, un Ebitda di 10,9 e un utile netto di quasi 5. Il Messico dà la metà dei ricavi e i tre quarti dei margini. Che nella terra d’origine sono particolarmente alti (Ebitda al 52% sui ricavi nel fisso e al 47% nel mobile) pur con un carico assai elevato di personale. Guillermo Ortiz, presidente della Banca centrale messicana, accusa Slim di tenere i prezzi più alti del mondo e di bloccare la concorrenza. In effetti, secondo il New York Times, Slim ha il 90% del mercato. E secondo il ritratto che ne ha fatto Rocco Cotroneo sul Corriere, si protegge finanziando la politica. Ciò vuol dire che usa le rendite di monopolio e lo sfruttamento dei suoi compatrioti per alimentare l’espansione all’estero, dove, peraltro, non è certo in grado di portare sapienza tecnologica se è vero che Telmex ha un milioncino di accessi broadband e nulla più. Perché mai, con queste credenziali, Carlos Slim dovrebbe portare in Italia tecnologie, capitali, rispetto del mercato (dei clienti e del lavoro) e non spremere un’altra volta il limone? È sano lasciar andare alla deriva sudamericana una delle più grandi aziende italiane senza reagire, sia pure nel rispetto delle nostre regole? (con la consulenza tecnica di Miraquota)

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …