Massimo Mucchetti: Unicredito-Capitalia: la legge di Profumo e i suoi tre effetti

21 Maggio 2007
In attesa dei conti, l’acquisizione di Capitalia da parte di Unicredito può essere valutata per i suoi effetti ‟politici”. Il primo effetto, ancorché non proclamato come fine, è il consolidamento del controllo nazionale su una banca rilevante, che rischiava di finire in mani estere a causa delle turbolenze sul suo principale azionista, l’olandese Abn Amro. Analogamente la fusione Intesa-Sanpaolo sottrasse l’istituto torinese agli spagnoli del Santander e ai francesi dell’Agricole, mentre quella Bpu-Banca Lombarda tolse dal mercato la banca bresciana. La politica di movimento, auspicata dal governatore Mario Draghi, sembra soddisfare il patriottismo economico assai più della difesa statica del precedente inquilino di palazzo Koch. Il secondo effetto è la sparizione della banca più vicina alla politica (e all’editoria). Portarsela in casa era un rischio per un gruppo come Unicredito che, dopo l’acquisizione di Hvb, deve rispondere a Milano come a Monaco, a Parigi come a Londra. L’antidoto era un solo: pagare pure il prezzo di mercato, ma poi avere mano libera su Capitalia. Aiutato dal dissidio tra il presidente Cesare Geronzi e il management, Alessandro Profumo non ha concesso pressoché nulla alla squadra capitolina. La conferma del consiglio di amministrazione tradizionale, dove il banchiere milanese regna incontrastato, è la prova che il potere contrattuale era tutto in Unicredito. Al regime dualistico, che raddoppia le presidenze, magari si approderà se e quando sarà all’ordine del giorno una fusione tra pari, o quasi pari, qual era quella ipotizzata con SocGén. Una sola posizione è stata assicurata in partenza al mondo Capitalia: quella di Geronzi. A settembre od ottobre, quando le due promesse spose firmeranno il contratto, il banchiere romano avrà la vicepresidenza di Unicredito con delega alle partecipazioni, esercitabile peraltro all’interno dei comitati consiliari dove l’influenza di Profumo è consolidata. A questa responsabilità Geronzi dovrà rinunciare se assumerà la presidenza del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, che verrà istituito il 29 giugno ed eletto poco dopo. Il cumulo delle cariche, infatti, è escluso dagli accordi. È dunque probabile che Geronzi non entri mai nel vertice di Unicredito. La poltrona di Piazzetta Cuccia è importante: al consiglio di sorveglianza è riservata la politica delle partecipazioni, nomine comprese, sulla quale aveva fin qui avuto voce anche l’alta dirigenza. Ma un conto è fare il presidente di Mediobanca avendo alle spalle una banca ‟propria” com’era Capitalia, un altro conto è farlo con Unicredito alle spalle e Profumo che siede nel patto di sindacato, al piano di sopra. E qui si arriva al terzo effetto: quello su Mediobanca. Da Piazzetta Cuccia parte una catena di partecipazioni che porta a Rcs, Pirelli e, soprattutto, a Generali. E da Generali a Intesa-Sanpaolo. Dopo Maranghi, in Mediobanca il potere si è giocato tra Capitalia, Unicredito, i francesi e i soci industriali. Benché tra francesi e romani fosse fiorita un’entente cordiale, la partita a quattro lasciava spazi di manovra, sia pur relativi, al management della banca d’affari e della sua più importante controllata. Ora scompare Capitalia e i soci industriali perdono peso e senso politico: escono infatti Fiat e Telecom, e nessuno può oggi interpretare il ruolo di garante dei privati, che fu di Leopoldo Pirelli. Le partite a quattro durano poco. Figurarsi quelle a due. Al di là delle percentuali, la risistemazione della catena che dal nuovo Unicredito arriva a Intesa ha una posta politica: ricostruire l’autonomia del polo Mediobanca-Generali o consacrare il duopolio, presto o tardi collusivo, tra le due nuove, grandi banche.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …