Gianni Mura: Tour 2007. McEwen, ma come hai fatto? Rimonta super dopo la caduta

10 Luglio 2007
Come ci sono partite di calcio di cui nulla si ricorda, se non un gol meraviglioso che valeva il prezzo del biglietto, così nel ciclismo non sarà memorabile la tappa di ieri, ma lo sprint di Robbie McEwen, l’australiano con la faccia da indio, è da mettere in cornice. A 200 metri dal traguardo non era nei primi dieci, ai 180 è scattato sorprendendo tutti e firmando la sua dodicesima vittoria al Tour. Prima di Canterbury, non aveva mai fatto centro al primo colpo. Va bene che non c’è Petacchi, e si sa perché non c’è, ma tutti gli altri ci sono e McEwen gli ha fatto marameo. Nel senso che quasi sempre improvvisa la volata, non ritiene indispensabile il treno dei compagni, si muove di istinto. In verità, e questo illumina ancora di più la sua vittoria, del treno dei compagni ha avuto bisogno dopo essere caduto, a 20 km dall’arrivo, quando il gruppo andava piuttosto forte. I suoi lo hanno riportato in gruppo ferito al ginocchio destro e con forti dolori alla mano destra, e anche arrabbiato, quando mancavano 6,5 km alla volata. Ha risalito il gruppo su strade strette, ha lasciato che tirassero come dannati i Lampre per Bennati, i Quick Step per Boonen. Bennati, che era a ruota di Napolitano, s’è perso su uno strappetto, ai 500 metri. Il patto tra i due sprinter (chi lavora per chi) è stato e sarà stretto nel finale. Chi si sente meno gambe piloterà l’altro. Bravo Tosatto nel portare al dunque Boonen coperto, ma Boonen resta sorpreso da McEwen, così come Freire (per inciso, l’ultimo dei 189 a firmare l’impegno richiesto dall’Uci). Così, riescono a piazzarsi quarto e quinto due francesi esordienti al Tour, Sebastien Chavanel e Feillu. Resta da dire di una fuga a cinque (nessun italiano) tenuta sotto controllo per oltre 170 km. Dentro c’era Millar, lontano solo 33’’da Cancellara. Vantaggio massimo oscillante tra 5’e 6’, destino segnato. Però bisogna provarci. Ancora tantissima gente, e molto ordinata, ai bordi delle strade. Non per nulla sono inglesi. Mi sono concesso un consapevole omaggio alla cucina inglese frequentando un ristorante indiano e uno thai. A Londra avere il Tour è piaciuto tanto che ha già avanzato una candidatura per il 2010. A me questa città pare affascinante come la copertina di un libro o di un settimanale, a patto che non si vada a leggere tutto. E’cara in un modo pazzesco ed è sempre meno vivibile dai londinesi. Molti poliziotti di Scotland Yard, molte infermiere degli ospedali si sciroppano un’ora abbondante di treno, più i mezzi pubblici, per andare a lavoro. In compenso, se compenso è, sui prezzi non discute, compra e affitta, spende e spande, chi ha fatto molti soldi non importa come. Dopo l’ondata degli emiri e dei giapponesi, è ancora vivace quella dei russi e già si annuncia quella degli indiani. Di tutto questo è meglio non parlare a Cancellara, che pensa malissimo dell’efficienza degli aeroporti. Il suo bagaglio rimane ancora disperso. Il morale alto. Per conservare la maglia non deve nemmeno far lavorare molto la sua squadra perché sgobbano quelle dei velocisti. Era tra i favoriti del prologo, ma nessuno s’aspettava distacchi così alti. Quello che ha guadagnato a Kloden e agli altri l’ha guadagnato nelle curve, infilate a tutta velocità con uno stile purissimo. I compagni lo chiamano Spartacus per come è grande e grosso. Parla francese con accento italiano. A 17 anni suo padre ha lasciato Atella (Potenza) e a Berna ha fatto tutti i mestieri di un emigrante povero, dall’idraulico al camionista. Secondo il mio amico Antonio Ferretti, unico ciclista (non solo svizzero, penso) laureato in letteratura, Cancellara è uno degli ultimi fiori della vecchia scuola di Paul Koechli, che già guidò Hinault. Cancellara non l’ha avuto direttamente come maestro ma indirettamente sì, perché il lavoro di Koechli stava anche nel creare tanti tecnici di ciclismo sia nelle città sia nei paesini e nel predicare, per i giovani di belle speranze, una sorta di ciclismo totale. Ossia: pista, cross e strada. E così Cancellara è stato nazionale di cross (pur non avendo il fisico adatto), in pista ha vinto il chilometro e su strada, basti un traguardo, la Roubaix del 2006. Più i mondiali a cronometro. Anno intenso, il 2006: s’è anche sposato e gli è nata una figlia, Giuliana. Sarà forse per questo che non ha brillato a inizio stagione e s’è concentrato sul Tour. Salvo colpi di scena, dovrebbe restare in giallo anche oggi. Si arriva a Gand, terra di velocisti. I primi giorni sono sempre tesi, nervosi. Tutti si sentono freschi e capaci di tutto. Anche per questo si cade. Il primo ritirato è lo spagnolo Ramirez: ha sfondato con la testa il vetro posteriore di un’ammiraglia. Più paura che danni gravi, hanno detto all’ospedale.

Giallo su giallo di Gianni Mura

Gianni Mura, cronista sportivo di ‟Repubblica”, si inventa un Tour bagnato di sangue. Il protagonista, nonché io narrante, fa più o meno il mestiere di Mura: segue il Tour insieme alla ‟banda” dei giornalisti internazionali, quando può mangia bene – e beve meglio –, si industria con passione e stil…