‘Ala Al-Aswani: Il nostro Egitto

13 Luglio 2006
Letteratura e politica
In Occidente ci si stupisce che nel mio romanzo Palazzo Yacoubian si parli apertamente di sesso, di politica, di omosessualità, di giustizia, di corruzione, di tortura. Spesso, in Occidente, mi sento chiedere: ‟Ma esiste una vita sessuale in Egitto?”. Le prime volte rimanevo attonito. Adesso ho una risposta fissa. Dico: ‟Ho vissuto come studente negli Stati Uniti, e per la mia esperienza posso affermare che, in Oriente e in Occidente, tutti fanno l’amore nello stesso modo”.
È vero però che è stata una scommessa pubblicare Palazzo Yacoubian in Egitto. Due grandi editori non se la sono sentita di assumersi i rischi della pubblicazione. Temevano che il libro non avrebbe venduto e che avrebbero avuto problemi con il regime. E invece il libro ha avuto un notevole successo in tutto il mondo arabo e ne è stato tratto anche un film.
Partendo dai personaggi, che per me sono l’elemento essenziale che dà forma al romanzo, ho raccontato la vita per quello che essa è realmente in Egitto. Le vicende dei miei personaggi, gli inquilini di palazzo Yacoubian, sono una rappresentazione della società egiziana.
Non credo che sia possibile separare la letteratura dalla politica – come invece vorrebbero i dittatori, anche nel mondo arabo. Sono convinto che la letteratura assomigli alla vita, ma che sia più precisa, più significante, più bella della vita. Ora, è irrealistico o disonesto descrivere la vita reale in Egitto dimenticando quello che è il nostro problema principale, la mancanza di democrazia. Senza democrazia non si soffre soltanto in parlamento, ma in ogni aspetto della vita. Si soffre individualmente, in famiglia, nelle relazioni amorose, nelle relazioni d’amicizia e di lavoro: tutta l’esistenza viene investita da questa situazione di pena.
Il meglio della società egiziana non trova rappresentanza politica. Forse il nostro è l’unico regime al mondo che si sceglie l’opposizione che preferisce. Un comitato che sceglie i partiti e può impedire a questo o a quel partito di presentarsi alle elezioni. Così i partiti ufficiali non rappresentano la società, sono solo delle decorazioni del regime, utili per le foto di cerimonia. Dentro e fuori del paese, il regime utilizza come spauracchio i Fratelli musulmani: ‟O noi, o loro”, è questa la cantilena. Naturalmente si tratta di una falsa alternativa. Intanto perché i Fratelli musulmani non sono un partito di massa: 20 mila o addirittura 50 mila militanti in piazza non fanno un grande partito di massa. Inoltre, per la maggior parte degli egiziani la pratica religiosa non coincide con l’essere fascisti o con l’essere Fratelli musulmani. Prevale largamente la prospettiva laica: la religione è una cosa, lo Stato un’altra. Naturalmente, l’eterna incombenza dei Fratelli musulmani non è un malinteso: è un malinteso fabbricato di proposito dal regime per legittimarsi davanti all’Occidente.

Il paese dei due piani
In Egitto si finge di avere un parlamento, si finge di avere libertà d’espressione, si finge di avere dei tribunali, si finge di avere delle università. La mia idea è che esistono due piani della vita sociale e politica egiziana: quello di facciata e quello reale. Ciò che caratterizza la nostra vita politica è l’ipocrisia: si tratta di un vero cancro sociale e non semplicemente di fatto individuale. L’ipocrisia di cui parlo è esattamente il contrario della democrazia, la quale, per esistere, deve essere praticata, deve investire per intero la vita, il modo di essere padri, madri, il modo di fare l’amore.
Nel mio romanzo riproduco questi due piani della realtà egiziana. Ogni personaggio è diviso tra l’apparenza e la realtà. Ciascuno, attraverso le proprie esperienze, apprenderà la lezione del disinganno. Chi, infatti, cerca di far coincidere l’apparenza con la realtà si scontra contro un muro.
Detto in breve: la nostra non è una società giusta. Nella società egiziana manca quello che in inglese si dice il ‟fair game”, il gioco corretto. Se il gioco è corretto viene premiato chi, ad esempio, lavora e merita, mentre chi non merita non viene premiato. Ma quando il gioco non è corretto, come da noi, non solo chi non merita ottiene ciò che non gli spetta, ma assume anche un potere al quale si deve sottostare.
La giustizia è una bussola che permette di orientarsi nelle società e che definisce il grado di democraticità di un paese. Se la società è giusta – come in una vera democrazia – allora gli individui sono ottimisti. Possono pianificare la loro esistenza con la relativa sicurezza di avere quanto corrisponde al loro sforzo, perché questo è un loro diritto riconosciuto. Ma se la bussola della giustizia impazzisce – e questo è il caso dell’Egitto e del mondo arabo – allora tutto cambia. Le persone si agitano, si inquietano, si disorientano. Se persino il giudice si sbraccia per raccomandare suo figlio affinché diventi a sua volta giudice, oppure se il professore universitario briga perché suo figlio diventi anche lui professore universitario, allora bisogna capire che la bussola della giustizia è impazzita e che la società non ha più orientamento. Nessuno, in queste condizioni, potrà pianificare la propria esistenza. Qualsiasi progetto si scontra con la realtà che si trova dietro l’apparenza democratica.
Senonché, se ci si mette da questa nuova prospettiva, chi raccomanda i figli non appare più, in senso stretto, come un corrotto, ma piuttosto come un disincantato o un realista. L’apparenza della giustizia, che è tutt’uno con l’assenza di democrazia, dissocia gli individui, che omaggiano le regole esteriormente, ma nelle loro scelte quotidiane perseguono la soluzione più funzionale ai loro interessi. Chi comprende che il proprio figlio verrà schiacciato se non ha alcun appoggio, si adeguerà alle vere regole. Così tutti agiscono in uno spazio in cui la democrazia è svanita, anche se nella retorica continua ad esistere. In Egitto, ceti e partiti riproducono se stessi di abuso in abuso. I ricchi da noi hanno ereditato dalla loro appartenenza di ceto una ricchezza e un potere che non sanno come gestire.
La giustizia dovrebbe coincidere con l’idea di cittadino. Dovrebbe essere la vita e la regola di tutti i giorni. Anche uno Stato potente decade rapidamente senza giustizia, perché si svuota nel disorientamento generale. Quindi, se non si regola il sistema politico, ogni riforma diventa inutile. Sentiamo in televisione delle sciocchezze come ‟dobbiamo risolvere il problema dell’istruzione”: sembra quasi che il problema dell’istruzione sia un problema separato da quello della democrazia. Venivo spesso invitato in televisione ad intervenire sui temi dell’istruzione: ho smesso di prendervi parte perché ho compreso che non è onesto. Questo non è il problema originario. Il problema vero è la democrazia, di cui abbiamo bisogno come dell’ossigeno. In generale, il problema del mondo arabo non è dunque il fanatismo religioso, ma la mancanza di democrazia. Il fanatismo viene dopo.

Se la critica è una decorazione del regime
In Egitto gli scrittori possono scrivere quello che vogliono, ma questa non è libertà di espressione in senso democratico. Io la chiamo libertà di parola passiva. In senso democratico, la libertà di parola dovrebbe produrre dei risultati politici. Ad una denuncia dovrebbe seguire un’inchiesta e, all’inchiesta, le dimissioni (almeno) di qualcuno. Invece, in Egitto, non succede mai un bel niente. Questa allora non è libertà d’espressione democratica, perché non si traduce in atti politici: c’è solo la libertà di baloccarsi con le parole: ‟Scrivete quello che volete, tanto non cambia niente”.
In un primo momento questo può apparire come un fatto comunque positivo. Ma con il tempo ci si accorge che non è così. Non solo non è positivo, ma è estremamente negativo. Anche senza volerlo, gli intellettuali diventano una decorazione del regime. È come se il regime dicesse: ‟Guarda quello che scrivono i nostri giornalisti! Gli intellettuali sono liberi, esprimono delle critiche”. Di conseguenza, ed la cosa più grave, le persone si scoraggiano perché il loro sentimento non ha il modo di trasformarsi in un ‟atto politico”. Il regime ha predisposto quella che io chiamo una valvola per il vapore. La critica diventa un genere letterario che non ha valore democratico.
Non si può dare però al regime la responsabilità di quello che siamo. Non si è mai visto un regime che dà potere agli esclusi. I veri responsabili della situazione sono gli intellettuali egiziani. La gran parte dei quali comprende perfettamente quello che succede, ma non fa abbastanza per cambiare le cose. Infatti, sono essi stessi un ceto, e preferiscono la vita tranquilla. Non parliamo poi di coloro che lavorano per il governo: sanno benissimo che le cose che dicono non sono vere, e incrementano solo la retorica dell’apparenza democratica. Son consigliati dal loro spicciolo interesse: temono di perdere i loro piccoli privilegi. Come si può costituire, a partire da queste premesse, quella pressione critica dell’opinione pubblica che eserciti un controllo sul potere? Inoltre, in Egitto si è diffusa l’interpretazione saudita dell’islam, che non contempla il diritto politico dei cittadini. I regimi arabi, naturalmente, non contrastano questa interpretazione, perché li aiuta. Nelle moschee i fedeli vengono convinti che, se non hanno lavoro, devono imputarlo al fatto di bere la birra! La religione, così interpretata, toglie dagli occhi la visione generale dei problemi, e riduce tutto al privato e al particolare. Il problema di ciascuno diventa un problema religioso: niente di meglio per minare il senso democratico.

Due volti dell’Occidente
Spesso in Occidente mi viene chiesto di pronunciarmi sull’imperialismo occidentale e sullo ‟scontro di civiltà”. Di solito rispondo che l’Occidente non è una realtà univoca. L’Occidente è l’imperialismo, ma ‟Occidente” significa anche intellettuali, lotta per i diritti umani. La mia critica dell’Occidente riguarda i governi e la loro politica. Gli Stati Uniti sono un buon esempio. Non soltanto nel mondo arabo, ma dovunque, hanno appoggiato i peggiori regimi possibili immaginabili. Si parla tanto di fanatismo religioso. Senonché si dimentica che, prima dell’11 settembre, il governo dell’Arabia Saudita era sostenuto dagli Stati Uniti per motivi legati al petrolio, e non certo con l’interesse di esportare la democrazia. Troviamo tanti altri esempi nell’esperienza dell’America latina. Salvator Allende è stato rovesciato nel ’73, e non era un fanatico né un dittatore, era stato eletto in piena regola.
Spesso, da quando il mio romanzo è stato tradotto, mi trovo a discutere in Occidente sulla presunta intolleranza congenita del mondo arabo. Ma la società egiziana è stata da sempre una società multiculturale e multietnica. L’accettazione della diversità ha fatto sempre parte della nostra cultura. In Egitto hanno vissuto italiani, ebrei, armeni… Io ho frequentato una scuola francese. Festeggiavamo tutte le ricorrenze religiose e se c’erano dei professori che non erano credenti, festeggiavamo il loro compleanno.
Posso capire che questi stereotipi si creino negli Stati Uniti, ma è sorprendente e inquietante che essi attecchiscano adesso anche in Francia o in Italia, dove dovrebbe esistere una comune cultura mediterranea.
Un altro stereotipo è l’intolleranza nel mondo arabo per l’omosessualità. In realtà, essa è stata sempre accettata, anche se non incoraggiata. La poesia, che è molto popolare nel mondo arabo, ha un genere specifico dedicato all’omosessualità. Al giorno d’oggi in Egitto ci sono molti artisti omosessuali: sono registi di cinema, pittori. Nonostante questo sono popolari. Mi sento spesso rispondere: ‟Ma l’islam è contro l’omosessualità”. E io rispondo: ‟Sì, ma perché, il cristianesimo è a favore”? C’è sempre una differenza tra la religione e quello che le persone fanno nella vita. Ed è questa differenza ciò su cui fondo la mia speranza per il futuro.

(a cura di Giovanni Perazzoli)

Il sommario del n.5 di ‟MicroMega”

Paolo Prodi, Tutto il potere al popolo
(delle primarie)
Vladimir Luxuria, Lettera aperta al cardinale Carlo Maria Martini
Furio Colombo, Elogio delle intercettazioni
Claudio Rinaldi, Lettera aperta al nuovo direttore del ‘Riformista’
Pancho Pardi, Forza Italia! E ora abroghiamo il berlusconismo
Giuseppe Arnone, La sinistra che non vogliamo
Lidia Ravera, Gli scalatori della piramide del maiale
Gassa D’Amante, Congiunzioni
Oliviero Beha / Paolo Gentiloni Sabina Guzzanti / Marco Travaglio, Un’altra televisione è possibile
Franco Cordero, Leviathan contro Dike
Roberto Esposito, Totalitarismo o biopolitica? Per un’intepretazione filosofica del Novecento
Corinna Albolino, Dietrich Bonhoeffer: un teologo contro la religione
Sue Savage-Rumbaugh/Marc Hauser, Le scimmie parlano?
(presentazione di Telmo Pievani)
Sergio Luzzatto, Lo smemorato del Campiello
Niles Eldredge, Darwin versus Bush
’Ala Al-Aswani, Il nostro Egitto
Carla Del Ponte / Antonio Cassese/Baltasar Garzón Real, I diritti del mondo
Massimiliano Boschi, Furbi?
Marco Preve e Ferruccio Sansa, Liguria, l’Unione fa il cemento
Cinzia Sciuto e Stefano Velotti, Dolore di Stato?
Fernando Pessoa, Lettera a un Poeta

Palazzo Yacoubian di ‘Ala al-Aswani

“Il più sensazionale e controverso bestseller del mondo arabo” Corriere della Sera Costruito negli anni trenta da un miliardario armeno, Palazzo Yacoubian contiene in sé tutto ciò che l’Egitto era ed è diventato da quando l’edificio è…