Marco D'Eramo: I «democratici» gringos del Rio Grande

26 Ottobre 2002
Sotto un sole che picchia duro anche a ottobre, il giudice di contea Mercurio Martinez è il primo texano che vedo con un cappello texano in testa. È un omone sorridente, completo blu, cravatta sgargiante, vistosa. Mi viene a prendere nel parcheggio del complesso dove si trovano di municipio, centrale di polizia, tribunale, uffici di contea: "Hi Marco!". L'appuntamento mi era stato procurato a San Antonio da Bob Salvatore, presidente della Afl-Cio locale, altro personaggio curioso: originario del Connecticut (come dire un danese finito a Palermo), aveva servito per due anni in Vietnam, ne era uscito "spaesato", era stato congedato in California, si era trasferito in Texas a San Antonio, a 250 km dalla frontiera con il Messico, qui era entrato nel sindacato grazie ai legami familiari (tutti i suoi parenti, zii, cugini e fratelli erano dell'Afl-Cio), lavora in centro città, ma vive in una fattoria di 3 ettari a 40 km, è contrario al trattato di libero commercio nordamericano, Nafta (North America Free Trade Agreement)anticomunista fervente, è favorevole all'uso delle armi (caccia cervi e cinghiali nella sterminata, piatta macchia texana, fatta di cespugli e arbusti che si stende da San Antonio fino al Rio Grande). "Se vai a Laredo, devi proprio parlare con il giudice Martinez, è un uomo notevole, è stato insegnante nel college, poi banchiere e assicuratore, è un ranchero, ha un grande ranch di più di 1.000 ettari" (Ma ad Austin il consulente politico Bill Miller sfotte: "Qui sono tutti rancheros, basta che abbiano una proprietà: però di gente che vive davvero della terra ce n'è pochissima"). Il giudice Martinez mi presenta altri due eletti della contea Webb: il revisore dei conti Leo Flores e l'amministratore Carlos Villarreal. Tutti e tre i notabili hanno cravatte da pugno nell'occhio e portano all'anulare destro un anello d'oro grande come una noce. Flores mi fa vedere che reca inciso il simbolo dell'università che ha frequentato.
Mi fanno il quadro di Laredo, 177.000 abitanti. Dall'altra parte del Rio Grande, c'è in Messico Nuevo Laredo, 450.000 abitanti. Le due sono un'unica città, divisa dal confine e unita da un ponte. Il programma Maquila ha fatto la loro ricchezza, con le maquiladoras, officine di assemblaggio dove gli operai messicani lavorano per 10 dollari al giorno (un metalmeccanico sindacalizzato prende a Detroit 30 dollari l'ora): con il programma Maquila, il Messico non applica tasse doganali alle componenti importate dagli Usa, e gli Usa non applicano né tasse doganali né l'imposta sul valore aggiunto per le merci assemblate che rientrano negli States.
"Il nostro è il più grande porto terragno dell'emisfero occidentale" mi dice pomposo Mercurio Martinez. "Attraverso il confine ogni anno passano qui più di 2 milioni di camion, quelli da 8 ruote (una media di 3.000 al giorno circa); in alcune stagioni ce ne sono più in una direzione, in altre in quella opposta. Senza contare i treni merci". Guidando da San Antonio, non ho fatto altro che superare lumachesche, interminabili tradotte di containers sulla ferrovia lungo l'autostrada: le locomotive a diesel sbuffano fumo scuro e portano nomi da western all'italiana, Santa Fe, Rio Grande, Union Pacific. "Ma ora l'economia Usa rallenta, il Messico frena e il peso svaluta. E le maquiladoras si trasferiscono in Asia, in Cina, in Vietnam, dove il lavoro è ancora più a buon mercato. A Nuevo Laredo su 22.000 posti di lavoro, nell'ultimo anno ne sono stati persi 3.000".
Il giudice Martinez ha un altro impegno, mi saluta e mi lascia con Flores e Villarreal che mi fanno salire su un macchinone 4x4. Parliamo di figli: loro ne hanno sei ciascuno Mi portano in un ristorante di un mall identico a tutti i mall. Potrebbe essere in North Dakota, non fosse per il caldo (qui siamo alla latitudine di Calcutta). Invece nel centro di Laredo, di frone al ponte di frontiera, già le case sono basse, le strade più sporche, i negozi un po' sciatti, come nelle brutte periferie nuove di alcune città del sud.
Al ristorante troviamo seduto il giudice Oscar Martinez, che parla male inglese ("È detto "el huevo", l'uovo", mi avevano avvertito, "ma non chiamarlo così in sua presenza" con una spiegazione salace del nomignolo). Negli Usa i giudici di contea e di stato sono eletti. "Sono gli avvocati che finanziano le campagne dei giudici, così poi sono sicuri di ricevere un trattamento per lo meno non ostile", mi aveva detto a San Antonio la giornalista Lisa Sorg. È come se Previti finanziasse la campagna di Ilda Boccassini o Gherardo D'Ambrosio. Ma i miei commensali minimizzano: "Gli avvocati finanziano le campagne di tutti e due i contendenti, per mettersi al sicuro. E poi, se il giudice fa troppi favoritismi, la sentenza viene respinta in appello". Ma anche i giudici d'appello sono eletti. "Sì, ma non c'è più la connessione locale". Più tardi, nella redazione del Laredo Morning Time, il capocronista Robert Garcia mi racconta di un avvocato: punito da un giudice con una multa da 25.000 dollari per "disprezzo della corte", ha fatto causa sostenendo che la multa gli è stata affibbiata perché non aveva contribuito alla campagna del giudice.
Mentre mangiamo, viene a salutare un signore che mi presentano: Frank Guerra, presidente e amministratore della Sanchez Oil & Gas Corporation. Laredo è infatti la città natale di Tony Sanchez, il miliardario candidato democratico alla carica di governatore, che tenta di scalzare Rick Perry, il sostituto di George W. Bush che era stato governatore del Texas per otto anni prima di diventare presidente. Tony Sanchez è forse l'esempio migliore (si fa per dire) delle ambiguità politiche del Texas e del trasformismo dei democratici del sud.
La leggenda vuole che il padre di Tony Sanchez riparasse macchine da scrivere, e con i risparmi comprasse pozzi di petrolio esauriti. A un certo punto la pressione non è più sufficiente a far schizzare il petrolio da sottoterra, anche se ce n'è ancora. Ma con la tecnica della iniezione forzata di acqua, il petrolio che è più leggero, viene risospinto in alto e quindi i vecchi pozzi abbandonati tornano produttivi. "Comunque - mi dice il cronista Robert Garcia - tanta gente qui aveva terra che non valeva niente, solo cactus e mezquite, e si è ritrovata all'improvviso ricca per il petrolio sotto i piedi. No, Sanchez non è il padrone di Laredo, ci sono altre famiglie altrettanto ricche, i Killiam, i Martin, i Cuiroz/Walkes, tutte famiglie latine nonostante i cognomi: per esempio Martin era un francese che si stabilì qui e sposò una messicana. Sono famiglie altrettanto influenti dei Sanchez, ma più ritratte dal proscenio della politica. Sanchez si è candidato perché spinto fortemente dalla madre, che nel frattempo è morta: non era una donna nota per l'ambizione, piuttosto per le opere pie, per l'aiuto alla comunità latina, voleva forse vedere il figlio diventare il primo governatore latino del Texas". Con i soldi del petrolio, la famiglia Sanchez ha aperto una banca, International Bank of Commerce, e oggi la fortuna di Tony Sanchez è valutata intorno ai 650 milioni di dollari, 1.300 miliardi delle vecchie lire, anche se una cinquantina di milioni di dollari se ne sono andati per questa campagna elettorale. Negli anni `80 la Banca di Sanchez fu accusata di riciclare il denaro sporco dei Cartelli messicani della droga. Quando con Robert Garcia faccio un controllo sui notabili eletti miei commensali, chiedo perché sorride quando nomino Leo Flores: "Prima di entrare in politica, lavorava nella banca di Sanchez, e quando scoppiò lo scandalo del riciclaggio, il testimone chiave della Dea (l'agenzia antidroga) disse di aver visto Flores portare valige di contanti dal confine. Poi furono tutti scagionati".
Sanchez è un conservatore: è democratico perché, non solo a Laredo, ma lungo tutto il Rio Grande i latinos sono tutti democratici (altrove in Texas non è così vero), tanto che quest'anno la Convention statale democratica si è tenuta a El Paso, 2.000 km a monte di Laredo sul fiume. Ma nel 1996 Sanchez fu uno dei maggiori finanziatori di Bush il giovane per la rielezione a governatore. E nelle presidenziali del 2000 - perse per un pelo da Al Gore - il democratico Sanchez ha finanziato di nuovo il repubblicano Bush.
"In cambio, Bush ha nominato Sanchez nel Consiglio di sorveglianza della University of Texas, una poltrona di prestigio. È il principio: tu gratti la mia schiena, io gratto la tua" mi dice Carlos Villareal, dopo avermi raccontato fiero di aver trascorso 15 giorni in Italia, di cui tre a Roma in un lussuoso albergo vicino Piazza di Spagna. C'è un tono di spregiudicatezza che ricorda i nostri film sui legami tra mafia e politica. Chiedo se c'è corruzione: l'argomento del giorno è che a San Antonio due assessori comunali sono stati arrestati per corruzione, e si aspettano altri arresti eccellenti: "Le pratiche sono uguali ovunque, solo che a San Antonio sono stati beccati. Qui si dice: "In Messico rubiamo, negli Stati uniti lo fanno legalmente"".
Chiedo quali sono i problemi specifici di Laredo, vista la sua posizione di frontiera. "Nessun altra città negli States dipende tanto dall'economia di un paese straniero" mi Villarreal, "Noi dipendiamo in tutto e per tutto da come va il Messico: se il Messico starnutisce, noi ci prendiamo il raffreddore".
"Un altro problema sono le gang giovanili, in crescita esponenziale; io non ti posso dire molto, ma quando torniamo nel mio ufficio telefono a un poliziotto che è mio compadre". Detto fatto, nel suo ufficio, trovo un poliziotto in borghese tarchiato, Mario Alberto Soria, compadre di Villarreal, che mi mostra la lista delle 53 gang di strada (non tutte giovanili) - due anni fa erano solo 35 gang - con nomi come Latin Kings, Born Krazy Krue, Pura Gente Racio, Camiados Locos. "Hanno effettivi da una decina di membri fino alle centinaia. La gang più grande di tutte è La Movida con 200 pandilleros. Le pandillas sono le gang, e i pandilleros i loro membri. Senza contare le grandi gang di prigionieri: qui ce ne sono tre, e si chiamano: Mexican Mafia, Hermanos Pistoleros Latinos, Texas Sindacate. Queste tre gang controllano le prigioni. E quando escono, i detenuti dirigono la mala locale. Sono loro in contatto con i Cartels della droga dall'altra parte del confine. La cosa funziona così: i Cartels trattano con le gang carcerarie che subappaltano i contratti sulla vita, il contrabbando e lo spaccio di droga alle gang di strada".
Chiedo al giornalista Robert Garcia se da questo lato del confine la polizia è corrotta. "No, o per lo meno non al livello del Messico. Lì i Cartelli controllano intere città. A Nuevo Laredo quest'anno ci sono stati 65 omicidi nei primi nove mesi. Poliziotti uccisi per strada, gente sequestrata in pieno giorno. In un caso, il killer era atteso, c'erano i cecchini sui palazzi intorno ad aspettarlo. Lui è arrivato, i cecchini della polizia sono scappati lasciando lì i fucili e lui ha eseguito il contratto uccidendo un commissario". Gli chiedo se è pericoloso andare a Nuevo Laredo. No, mi dice. Noto che porta una maglietta grigio chiaro con il logo del suo giornale sopra il taschino. Poi mi accorgo che tutti gli altri impiegati portano una maglietta simile, e mi chiedo se noi andremmo mai in redazione con una camicetta il manifesto.
A fine pomeriggio parcheggio la macchina in centro e mi dirigo a piedi verso il ponte e la frontiera (prima di salutarmi, Villarreal mi aveva regalato due magliette con lo stemma della contea Webb e mi aveva segnato il suo cellulare: "Se ti succede qualcosa a Nuevo Laredo, chiamami").
Faccio la fila insieme ai messicani che rientrano dopo la giornata di lavoro. Pago un pedaggio di 50 centesimi. Sul ponte vedo infine il mitico Rio Grande che è piccolo quanto il Tevere. Passo il posto messicano (nessuno mi ha chiesto documenti all'uscita). E piombo all'improvviso nel Terzo mondo. Le auto sono scrostate, gli autobus zeppi e mezzo arrugginiti, le insegne stinte, i vestiti poveri, i mendicanti insistenti, la densità umana brulicante. Le ragazzine sono truccatissime, i ragazzi bulletti emanano testosterone. In cerca di brividi, di tequila sesso e pittoresco, i turisti e le turiste americane spiccano per la loro bonacciona arroganza. Dal lato Usa i negozi straboccano di radio, tv, computer, orologi, palmer, telefonini, vestiti, blue jeans. Dal lato Messico, liquori, olio, stivali di pelle, selle da cavallo. Soprattutto, un sacco di farmacie e di dentisti. Le farmacie sono piene di vecchi americani che vengono a comprare qui le medicine perché costano un quinto che negli Usa. Bob Salvatore mi aveva detto: "Anche mia moglie va a Nuevo Laredo a comprare le medicine. Fa 500 km andata e ritorno, ma intanto visita la madre, e poi risparmia".
Di dentisti, alcuni in androni lerci, ce ne sono centinaia sulla sola Avenida Guerrero (eroe della rivoluzione). Mentre fotografo le vistose insegne dei dentisti, un signore distinto, vestito con cura, mi si avvicina minaccioso e mi chiede "Que busca? (che cerca)" come a portarmi via la macchina fotografica. Ceno a capretto e cerveza. Alla frontiera pago 35 centesimi. Riattraverso il ponte sul fiume inargentato dalla luna piena. Al posto americano questa volta mi chiedono il passaporto. Laredo è il solo luogo che io conosca dove basta attraversare un ponte per passare dal Terzo al Primo Mondo.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …