Enrico Franceschini: In Iraq armi segrete

10 Dicembre 2003
Londra - «L' Occidente dovrebbe ringraziare Iddio che l' esercito iracheno decise di non combattere. Se avessimo usato le armi a nostra disposizione, le conseguenze sarebbero state terribili». Comincia così la confessione del colonnello al-Dabbagh, un ufficiale a capo di un' unità contraerea del regime di Saddam Hussein, che in un' intervista al Sunday Telegraph conferma quanto Bush e Blair non sono ancora riusciti a dimostrare: Bagdad aveva armi di distruzione di massa ed era pronta a utilizzarle. Il colonnello sembra credibile. Chiede all' autorevole quotidiano di mantenere segreto il proprio nome, pur rivelando il cognome, per non essere completamente identificabile dai fedelissimi di Saddam. Dice di essere stato per sette anni una spia dei servizi segreti americani e britannici. E rivela che fu lui, la primavera scorsa, la fonte di una delle accuse più controverse formulate da Downing street, quella che l' Iraq era in grado di lanciare «in 45 minuti» un attacco con armi non convenzionali. «Sì, la fonte ero io», dice al Telegraph. Secondo la sua testimonianza, le armi arrivarono alle unità di prima linea, compresa la sua, a fine 2002. Erano casse contenenti testate di materiali di distruzione di massa: sebbene il colonnello non sappia dire se fossero chimiche o batteriologiche, poiché soltanto i feddayn del dittatore iracheno e le Guardie della Rivoluzione erano autorizzati a maneggiarle. «In ogni caso Saddam aveva dato ordine di usarle non appena il conflitto avesse raggiunto uno stadio critico», afferma l' ufficiale, precisando che dovevano essere propagate con lanciarazzi portatili. Non vennero lanciate, conclude l' uomo, soltanto perché l' esercito rifiutò di combattere per il raìs. Ora non sa dove siano finite le casse, ma è convinto che siano ancora in Iraq, nascoste da qualche parte. In apparenza le sue rivelazioni costituiscono un punto a favore di Blair (e Bush), ma non risolvono i dubbi scatenati dalla guerra in Iraq. Come osserva lo stesso Telegraph, il colonnello fa capire che le armi erano destinate a un lancio manuale, dunque a corto anzi cortissimo raggio, impreciso e di scarso effetto: avrebbero ucciso i civili iracheni, che non avevano maschere antigas, anziché i soldati americani, che le avevano. Viceversa il governo Blair ha usato l' informazione raccolta dall' intelligence su armi non convenzionali azionabili in «45 minuti» come la prova che Saddam possedeva testate biochimiche, montate su missili in grado di raggiungere vicini paesi del Medio Oriente, Cipro (dove hanno base forze britanniche) o addirittura Londra. Perciò il suo regime rappresentava una minaccia «seria e immediata», e andava abbattuto senza indugio. C' erano ragioni valide per abbattere Saddam, commenta il Telegraph, ma non erano certo quelle citate da Blair. L' uso scorretto dell' intelligence e l' esagerazione della minaccia, continua il giornale, hanno causato fra l' altro il suicidio dell' esperto governativo di armamenti David Kelly, nel luglio scorso, e l' apertura di un' indagine da parte del giudice Hutton. A gennaio, quando Hutton renderà noto il suo verdetto, «Blair pagherà un pesante prezzo politico per quello che ha fatto», predice il quotidiano. A Londra si rafforza l' opinione che, se a una condanna di Blair sul caso Kelly si aggiungesse negli stessi giorni una sconfitta in parlamento della legge da lui introdotta per aumentare le tasse universitarie, il primo ministro potrebbe essere costretto a dimettersi.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …