Eva Cantarella: Falsi e crudeli, irresistibili eroi dell’antica Grecia

29 Ottobre 2004
Diciamoci la verità: sono personaggi con i quali non vorremmo aver molto a che fare. Guardiamoli con i nostri occhi, questi eroi di un mondo lontano, che torna un’ennesima volta ad affascinarci. Pensiamo ad Achille e Ulisse: diversissimi tra loro, ma ugualmente poco raccomandabili. Eppure, eroi da millenni, oggi popolari a livello di massa. Prescindiamo pure dal film Troy: a Roma, la lettura dell’Iliade riscritta da Baricco ha tenuto migliaia di persone inchiodate alle sedie per ore, e il libro è in testa alle vendite; a Milano le folle accorrono nella chiesa di Santo Stefano Maggiore, ad ascoltare le letture dall’Odissea organizzate dall’Università. Ma perché - oggi - ci piacciono personaggi come Achille, o come Ulisse? Diciamoci la verità, giudicati con i nostri valori erano due tipacci. Achille il "pieveloce" oggi appare a dir poco un nevrotico. D’accordo, Agamennone gli ha sottratto Briseide, il suo bottino-premio di guerra. Ma la sua reazione rivela un carattere intrattabile: si ritira dalla guerra, il fatto che questo provochi morte e stragi fra i suoi compagni non lo interessa minimamente, sino a che non gli uccidono l’amato Patroclo. Allora torna a combattere, e affronta Ettore. Colpito a morte, l’eroe troiano lo supplica: "non lasciar sbranare dai cani il mio cadavere", ti prego Achille "rendi il mio corpo alla patria". Una delle scene più commoventi dell’Iliade. E Achille: "cane, non mi pregare...la rabbia e il furore dovrebbero spingere me a tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che hai fatto...". Un potenziale cannibale. D’accordo, vendicarsi era una questione d’onore, ma Achille esagera. Quel che lui vuole è soddisfare un amor proprio narcisisticamente coltivato. E Ulisse, l’uomo "dalle molte astuzie"? Certo, esiste un Ulisse nobile, nobilissimo, l’eroe della conoscenza, il protagonista di un viaggio inteso come esperienza attraverso cui l’individuo si forma al dolore, e grazie a esso matura e si trasforma. Ma ne esiste uno assai meno nobile, un uomo la cui celebre metis è inganno, non astuzia, un uomo suscettibile e rancoroso, che non rispetta i giuramenti. È , ad esempio, l’Ulisse che porta odio eterno a Palamede, colpevole solo di aver smascherato uno dei suoi trucchi. Dopo aver giurato di partecipare alla spedizione contro Troia, infatti, Ulisse aveva cambiato idea, e per evitare la partenza si fingeva pazzo. Da Menelao e Palamede, che erano andati a cercarlo, si fece trovare nei campi, mentre seminava del sale. Palamede, allora, depose dinanzi all’aratro il piccolo Telemaco. Ulisse fermò l’aratro e partì per Troia. Ma a distanza di anni si vendicò, in modo a dir poco ignobile. Dopo aver costretto un prigioniero troiano a scrivere una lettera indirizzata a Priamo, in cui Palamede si dichiarava pronto a tradire i greci, fece in modo che Agamennone trovasse la lettera. Palamede fu consegnato ai troiani, che lo lapidarono. E che dire del suo comportamento con Penelope? Lui, che aveva a lungo convissuto con Circe e con Calipso, e da ambedue aveva avuto dei figli, quando torna a Itaca ha dei dubbi: ma Penelope gli sarà veramente stata fedele? Non fidandosi, non le rivela la sua vera identità se non dopo aver ucciso i proci. Superfluo dire che nella cultura di cui sono esponenti, il comportamento di Achille, di Ulisse e degli altri eroi omerici appare in una luce radicalmente diversa. Il loro carattere, "rozzo, villano, feroce", nella descrizione di Giovanbattista Vico, è quello di chi vive in un mondo dove vendicare qualunque offesa è un dovere sociale: chi non si vendica è un vigliacco. Ma oggi, perché piacciono tanto? Certamente, il loro successo si inserisce nel fenomeno più generale dei festival culturali, delle iniziative volte alla diffusione di una cultura "alta", che dalla torre d’avorio in cui era rinchiusa scende nelle chiese e nelle piazze, invade schermi cinematografici e televisivi. Un fenomeno tra le cui cause gioca un ruolo anche l’ampliamento delle conoscenze e della cultura scolastica superiore. La crescente istruzione, oltre a moltiplicare il potenziale pubblico, produce un ampio strato di persone che un sociologo della cultura come Franco Rositi chiama "eccedenza culturale": persone che, non trovando posto nel tradizionale mercato del lavoro, cercano sbocchi altrove, proponendo e stimolando iniziative culturali sul crescente mercato di cui dispongono. Certamente importante è anche la diffusa consapevolezza che la cultura (intesa come letteratura, storia, filosofia, performing arts ) è parte della nostra vita, anche se forse in modo approssimativo, e soprattutto fa parte in misura crescente dell’economia delle città, che competono in tutto il mondo per promuovere grandi eventi, dai festival di cui sopra al Museo commissionato a Frank Gehry dalla città di Bilbao. Ma il rinnovato successo dell’antico non si spiega solo sulla base di queste considerazioni. All’antico si torna ogni volta che si verifica quel fenomeno che i sociologi chiamano "anomia", una mancanza di norme che genera disorientamento, incertezza, angoscia. Il che accade sia nei momenti di grande espansione che in quelli di crisi, due fenomeni che oggi coesistono: da un canto, alcuni anni fa, la new economy, l’apertura di grandi frontiere allo sviluppo, un’economia mondiale comunque ancora in crescita; dall’altra guerre, stragi etniche, terrorismo. In questo mondo sempre più incomprensibile, quel mondo che Antony Giddens chiama ‟run away world”, un mondo scappato di mano, sfuggito a ogni controllo, ecco Achille e Ulisse riapparire e diventare star. Gli eroi omerici tornano ad essere modelli: poco importa se, oggi, sarebbero tutt’altro che tali. L’antico che oggi ci viene proposto è fuori della storia. Grazie alla bellezza dei testi che ce ne parlano è (è stato nei secoli) un sogno, e oggi diventa rifugio, via di fuga, speranza che esista un mondo migliore, possibilità di riflettere sulle questioni alle quali cerchiamo risposta. Un bene o un male per gli studi classici? Questo è altro problema. Un bene perché contribuisce ad accrescere l’interesse per un patrimonio di conoscenze che, ahimé, i programmi scolastici sempre più mortificano. Un male perché non tutte le iniziative hanno lo stesso livello, e dal loro complesso rischia di ricrearsi l’immagine di un antico fuori del tempo, immutabile e perfetto; l’antico come mito esso stesso, nel suo insieme; non come mondo diverso dal nostro, che gli studiosi cercano da decenni di ricostruire nei suoi aspetti multiformi, non di rado contraddittori e certamente "altri" da noi. Ma questo, dicevo, è altro discorso.

Eva Cantarella

Eva Cantarella ha insegnato Diritto romano e Diritto greco all’Università di Milano ed è global visiting professor alla New York University Law School. Tra le sue opere ricordiamo: Norma e sanzione …