Gianni Rossi Barilli: Minori. Un lavoro da ragazzi

29 Ottobre 2004
Libby Farfàn Janampa ha 14 anni e da grande vorrebbe diventare ingegnere civile. Alex Aquino Chilon, invece, di anni ne ha 17, adora la storia e la letteratura e gli piacerebbe diventare insegnante. La realizzazione di questi progetti di vita, però, non è relativamente semplice come potrebbe apparire vista dalle nostre latitudini, perché Libby e Alex, che vivono in Perù, non devono pensare solo a crescere e studiare per raggiungere il loro traguardo. Hanno facce da ragazzini ma parlano come persone adulte, consapevoli di molti problemi con cui un adolescente medio italiano del XXI secolo non è costretto a confrontarsi a questa età. Fin da quando erano piccoli, Libby e Alex lavorano per aiutare la propria famiglia. Libby ha cominciato a 7 anni e adesso fa giornata piena nel fine settimana vendendo pesce al mercato di Ayacucho. Gli altri giorni, dice, fa qualcosa nel suo negozio, a casa, "ma quello non è lavoro". Alex è pittore di ceramica a Cajamarca e ha iniziato addirittura a 6 anni. "Nella mia famiglia - racconta - siamo sette fratelli. Quasi tutti abbiamo deciso di lavorare molto presto. I primi tempi facevo qualcosa con i miei ma già a 8 anni lavoravo da solo. È una cosa che mi ha dato valore, mi ha fatto sentire utile e importante per la famiglia e la società. Il futuro non si aspetta, si costruisce".

Bambini in movimento.
Entrambi, da qualche anno, fanno parte del Manthoc, il Movimento dei bambini e adolescenti figli di operai cristiani che in Perù, accanto ad altre organizzazioni, si occupa di difendere i diritti e le condizioni di vita di ragazzi e ragazze lavoratori. Libby è delegata della provincia di Ayacucho e Alex è nel coordinamento nazionale del movimento. Sono insomma due sindacalisti a tutti gli effetti, solo che il loro è un sindacato esclusivamente "junior", almeno se si considerano i dati anagrafici. È nato nel 1976 e come ci dice Alex "è legato alla chiesa di sinistra", è presente in 11 regioni e 28 città del Perù e raggruppa qualche migliaio di iscritti tra i 6 e i 18 anni. Una volta raggiunta la soglia convenzionale dell'età adulta, chi rimane nell'organizzazione passa a un ruolo di supporto, "di tutore orizzontale" che (ci tengono a dirlo) non pregiudica l'autonomia di azione e decisione dei più giovani. Il principio numero uno al quale si ispira il movimento, tanto per capirsi, è che i ragazzi lavoratori sono soggetti autonomi e hanno il sacrosanto diritto di essere protagonisti della propria storia.
Un adulto che lavora con loro è Moisès Bazan Novoa, che di anni ne ha 35, è un ex bambino lavoratore e oggi è direttore esecutivo del Manthoc. È venuto in Italia per pochi giorni come accompagnatore di Libby e Alex, su invito di Arci, Unicoop e della Regione Toscana, e ci illustra qualche cifra: "Circa due e mezzo degli otto milioni di bambini e adolescenti peruviani lavorano normalmente. Di questi, il 15% è al di sotto dei 12 anni. Parliamo di un paese in cui il 54% della popolazione è considerato povero e un quarto dei poveri è definito poverissimo, che significa avere a disposizione meno di un dollaro al giorno".
Data la situazione, quindi, anche ai piccoli tocca spesso di lavorare, infrangendo per necessità quello che per noi ricchi europei è diventato il tabù del lavoro minorile. È ormai un discreto schock culturale, per noi, venire a contatto con qualcuno che non considera lavoro e infanzia come termini antitetici. Domando perciò a Libby e Alex se non preferirebbero, avendo i soldi, occuparsi di studiare e basta. "Il lavoro è la nostra cultura - risponde Libby con convinzione - io non lo faccio solo per necessità. Mi piace lavorare come ha fatto mia madre. E poi è anche istruzione, permette di sviluppare relazioni con la gente. Senza contare che, se si pensa solo a studiare, come si fa a accumulare un'esperienza pratica che permetta di trovare un lavoro sicuro?".
L'impegno del Manthoc, dunque, non tende a perseguire l'obiettivo della liberazione dal lavoro di chi non è ancora adulto, ma piuttosto a affermare che non deve essere un obbligo. E soprattutto che i ragazzi lavoratori hanno più ancora degli adulti dei diritti che vanno rispettati, mentre nella realtà di tutti i giorni sono diffusissime proprio nei confronti dei più giovani le peggiori forme di sfruttamento. "Per le strade di Lima - spiega Libby - si vedono ragazzine che si prostituiscono e ragazzi che vendono vernici tossiche senza nessuna cautela per la loro salute. Chi lavora per strada, poi, è spesso vittima della violenza della polizia, che cerca di scoraggiarti usando le maniere forti. Ancora peggiori sono le condizioni dei bambini costretti a lavorare in campagna o nelle miniere artigianali, con orari massacranti e con il continuo rischio di ammalarsi". A situazioni come queste si contrappone il "lavoro degno", che deve potersi conciliare con le necessità della formazione scolastica e non superare le quattro ore giornaliere. Il Manthoc promuove in proprio tutta una serie di attività in grado di offrire qualche prospettiva ai ragazzi che lavorano, soprattutto nel settore dell'artigianato: dalla panificazione alla cartoleria alla fabbricazione di candele, magliette e braccialetti di stoffa. Ci sono anche la formazione dei musicisti di strada e il giardinaggio, che ha portato di recente a realizzare l'esperienza pilota di una convenzione con il comune di Lima per la sistemazione del verde pubblico.
Detto questo, specifica Alex, "il nostro movimento non si occupa solo di lavoro: è più in generale un'esperienza di partecipazione sociale per migliorare noi stessi e l'ambiente che ci circonda. I nostri gruppi di base hanno ciascuno 20 o 25 componenti che nei quartieri fanno moltissime cose. Cercano di pulire la loro zona quando non passa il camion della netttezza urbana, fanno collette per aiutare gli altri quando sono ammalati, organizzano laboratori di autostima, soccorsi in caso di calamità naturali e iniziative di protesta quando è necessario".
Per le necessità correnti, serve anche farsi da fare per l'autofinanziamento. "Facciamo la chicha de maìz - dice Libby - che è una bevanda a base di mais nero, zucchero e limone. Ognuno ci mette qualcosa per prepararla, poi andiamo in giro a venderla. Col ricavato possiamo permetterci qualche spesa, come il costo dei mezzi pubblici che dobbiamo prendere per raggiungere dai nostri quartieri il posto dove teniamo le riunioni, in centro".

Genitori diffidenti.
Malgrado queste occupazioni da boy scout, capita spesso che i genitori siano diffidenti nei confronti del movimento. "In passato - spiega Alex - il governo ci considerava un'organizzazione paraterrorista. Perciò i genitori sono un po'spaventati dal fatto che i loro figli partecipino alle nostre attività. Questo rende necessaria anche un'opera di formazione diretta specificamente a padri e madri".
La diffidenza, peraltro, coinvolge anche nel presente i livelli istituzionali, sia pure con motivazioni differenti da quelle tutte politiche del passato. "Il ministro dell'educazione, quando ci ha ricevuto, diceva: "Cosa volete, perché non siete a scuola?". Non siamo riconosciuti né come lavoratori né come cittadini, perché in Perù si pensa che questo sia possibile solo dopo i 18 anni". Loro si battono ogni giorno per dimostrare che le cose non stanno affatto così.

Gianni Rossi Barilli

Gianni Rossi Barilli, nato a Milano nel 1963, giornalista, partecipa da vent’anni alle iniziative del movimento omosessuale, come militante, scrivendo, discutendo e anche litigando. Ha lavorato a “il manifesto” dal …