Giorgio Bocca: Se scoppia il vulcano cinese

02 Dicembre 2005
L'informazione occidentale racconta la Cina come un miracolo economico che ha i suoi difetti, ma che conviene imitare e gli Stati Uniti di George Bush come una potenza aggressiva, ma che tutto sommato difende i diritti umani. Diversissimi, conflittuali, ma in un prossimo futuro pacificamente conviventi. In realtà i due poli del turbocapitalismo, dello sviluppo a ogni costo, dei due modi di sfruttare milioni di uomini l'uno, il cinese, nel mercato interno, l'altro nel mercato internazionale, sono già in una guerra non dichiarata.
Cosa pensa l'informazione occidentale degli inviti che Bush fa al premier cinese Hu Jintao perché conceda libertà e diritti umani ai suoi cittadini? Pensa e dice che Bush è un americano attento ai soldi, ma anche alla democrazia, andato in Cina per risolvere la faccenda del debito enorme che Washington ha con Pechino, ma anche perché vuole che le libertà e i diritti umani arrivino finalmente anche in quel grande paese.
Ma c'è un'altra più realistica lettura di questo rapporto: c'è che chiedere a un premier cinese di concedere i diritti umani ai 458 milioni di cinesi che vivono nelle città e ai 160 che sono occupati nelle industrie significa in pratica far esplodere il regime, la spaventosa massa di manovra dei lavoratori sottopagati, schiavizzati, le formichine obbedienti che i documentari televisivi ci mostrano presi da un furore produttivo, neppure le teleprese li distraggono da computer e telai.
Altro che raccontare Hu Jintao come uno strano ometto che fa dei dispetti al presuntuoso americano, impedendogli di parlare in pubblico, di tener conferenze sulla libertà di opinione. Lui, Hu Jintao, sta sopra un vulcano che potrebbe esplodere da un giorno all'altro; sta a capo di un miracolo economico che si basa non solo sulla negazione dei diritti umani, ma anche su una crescita industriale a cui sono state sacrificate la mobilità sociale e la pubblica sanità che spiegano il terrore del mondo per una nuova 'spagnola', il terrore sanitario su cui insiste un osservatore della Cina come Oscar Marchisio.
Ci sono anche in Italia industriali e finanzieri che esortano a 'fare come la Cina', a non aver paura della sua concorrenza. Non aver paura di un paese che nel 1980 aveva una popolazione urbana di 181 milioni e oggi di 458? Che ha fatto di Hong Kong il maggior centro mondiale di esportazioni di merci e capitali, Hong Kong che prima era la porta della Cina per le merci occidentali e oggi lo è delle merci che dalla Cina escono? Di un paese che in sei mesi costruisce nuove città da 100 mila abitanti, dove a tenere la disciplina servono ancora centinaia di condanne a morte ogni anno, dove la Ferrari vende le sue auto gioiello a una minoranza di satrapi?
Non aver paura di un paese che con la sua economia ha raggiunto e superato in alcuni campi i limiti fisici dello sviluppo, che consuma acciaio e petrolio più che il globo terrestre possa produrne? Nei convegni degli ecologisti era di moda anni fa fare delle previsioni apocalittiche sul giorno in cui anche i cinesi si sarebbero tolti il gusto di andare in automobile. Ebbene quel giorno è arrivato e il temuto 'picco' della produzione di petrolio oltre il quale ci si avvita nella crisi è ormai a pochi anni.
Imitare la Cina? Non aver paura della Cina? Si è formata al mondo una macchina sociale che divora uomini, animali e ambiente, che ha imprigionato nelle dighe i suoi grandi fiumi a rischio di catastrofi apocalittiche, i cui dirigenti negli studi che i cinesi non leggono, ammettono di aver messo in moto "una dinamica che trasforma clima e territorio, producendo danni e lacerazioni con costi sociali difficilmente calcolabili" e non c'è da essere preoccupati? Un tempo si diceva 'chi vivrà vedrà'. Già, ma cosa vedremo?

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …