Schneider: un’ombra su Grass. Ha parlato troppo tardi delle Ss

22 Agosto 2006
«Ho un grande rispetto per la decisione di Grass di rompere il silenzio. Ma la sua confessione getta una lunga ombra». Così Peter Schneider, scrittore e voce critica della sinistra tedesca, commenta a caldo il caso Grass. «Nessuno lo ha costretto a rompere il silenzio», dice. «E non c’è motivo di denigrare ora la sua opera letteraria. Chi ha scritto il Tamburo di latta, Gatto e topo, Anni di cane, ha meritato il Nobel. Il resto è al di là». Eppure parla di ombre? «Sì. Non perché un 17enne è finito nelle Ss. Era poco più che un bambino, e fu quello il destino di molti della sua generazione. Nessuno alla sua età allora sapeva cos’erano le Ss e l’Olocausto. Per decenni Grass è stato grande nel descrivere l’esultanza per la Hitlerjugend, mentre tanti altri rimuovevano mentendo». Ma come il Faust di Goethe con Mefistofele si lasciò sedurre anche lui. «Pochi tedeschi sapevano allora, non certo i teenager. Lui si sentì sedotto dall’unità d’élite. Io nato dopo di lui non ho diritto di giudicarlo. Ma l’ombra sono i sessant’anni di cui ha avuto bisogno per parlarne, per ammettere. Il grande enigma è perché ha avuto bisogno di tanto tempo, o meglio: che benefici ha avuto da questi decenni di silenzio?». Perché ha taciuto proprio come quell’establishment di Bonn che egli attaccava per i silenzi? «Da 17enne aveva molto in comune con le persone che egli poi accusò di complicità sul nazismo. Poi è diventato la coscienza morale della Germania, e ha taciuto questo dettaglio al tempo stesso insignificante e decisivo. Questo silenzio di decenni del Grass adulto è un peccato molto più grave della decisione del Grass adolescente di arruolarsi. Perché ha pesantemente condizionato il suo animo e la sua personalità, molto più di pochi mesi nelle Ss. Se avesse parlato al paese anni e anni addietro in uno dei tanti grandi dibattiti sulla Colpa dei tedeschi, sarebbe stato un peccato di gioventù da dimenticare». Che sarebbe accaduto se Grass avesse confessato prima? «Sarebbe stata al momento una sensazione, poi si sarebbe presto tornati all’ordine del giorno. Ci sono molti casi simili, ma una confessione a tempo avrebbe avuto una bella differenza per la sua autorità morale. Gli avrebbe impedito di agire da coscienza critica con tanta sicurezza di sé e saccenteria». Come sarebbe stato diverso, concretamente? «Molto spesso nei toni duri e gridati di Grass, ad esempio sulla riunificazione parlava con disprezzo della Wiedervereinigungsgeschrei (dell’urlo di riunificazione) disse che i tedeschi dopo l’Olocausto non avevano più diritto all’autodeterminazione, che la Ddr era una "dittatura comoda", che i tedeschi dell’ovest non avevano diritto di giudicare gli errori degli intellettuali che all’est avevano collaborato con la Stasi, la polizia segreta - c’era sempre un eccesso di coinvolgimento personale. Questa enorme autogiustificazione era forse, non sempre a livello cosciente, legata con quel silenzio. Parlava troppo di sé e del suo passato fingendo di parlare della Germania». Quando avrebbe potuto raccontare del suo passato? «Negli anni Cinquanta o all’inizio dei Sessanta sarebbe stato forse impossibile: allora il concetto di "Ss" sarebbe stato un marchio infamante senza appello. Confessare sotto Adenauer sarebbe stato forse troppo presto, certo non sotto Brandt, Sotto Angela Merkel è troppo tardi. Mi chiedo cosa lo ha spinto al silenzio». Come risponde? «Forse se avesse confessato prima non avrebbe potuto avere il ruolo di coscienza morale della nazione con la verve e l’aggressività che lo hanno contraddistinto. Ripeto: il silenzio ha condizionato le sue prese di posizioni più della sua appartenenza alle Ss. Theodor W. Adorno disse parlando del fascismo: non può esistere una vita autentica nella menzogna. Una frase ridicola, patetica. Di Grass si può dire: ha condotto una vita sbagliata nel Giusto. Ma anche questa frase è patetica: ha sbagliato, e ha ammesso troppo tardi il suo errore». Cosa resta ora della sua autorità morale? «Molto, come prima, credo. Al di là dei toni gridati, spesso ha detto le cose giuste. Certo, a confronto di Heinrich Boll che aveva assunto sotto tono il ruolo dell’autorità morale, Grass lo ha fatto quasi sempre con toni trionfalistici. Toni che si ritenevano vincenti sulle ragioni di ogni altro. Forse anche psicologicamente a causa di quel silenzio». è stato per decenni la grande voce della sinistra europea. Lo è ancora? «Perché no? Adesso deve accettare più domande su questa sua autorità. Sarebbe stato più autorevole e anche più modesto se avesse confessato prima il suo peccato di gioventù». Il re è nudo? «Il re deve ammettere che non è sempre stato bello. Che non ha e non aveva sempre ragione. Che ha commesso grandi errori anche dopo quel primo errore, e spesso a causa di quel primo errore. Recentemente abbiamo avuto un dibattito strano in Germania. Penso a Peter Handke schierato con Milosevic. Botho Strauss a proposito ha scritto che il diritto a drammatici errori è condizione del genio. è un’idea orribilmente pericolosa: chi non sbaglia non è geniale e non ha talento? Solo il genio ha licenza di sbagliare e nessun altro? è un tipico deragliamento tedesco dai tempi del genio romantico. Un grande, Grass, si è sbagliato. Non a 17 anni, ma dopo, tacendo per 60 anni. Alla luce di quel silenzio la saccenteria del suo coerente antifascismo è incrinata. La lezione della vicenda è che bisogna sempre riflettere sui propri errori. Più di quanto lui abbia fatto: una volta mi disse che a differenza di me non aveva mai sbagliato. Ora non lo dirà più. Insomma la sua confessione è un evento positivo. Ognuno può sbagliare e deve fare i conti con i propri errori. Anche Grass».

Günter Grass

Günter Grass (Danzica 1927 - Lubecca 2015) ha raggiunto la massima notorietà con Il tamburo di latta, pubblicato nel 1959 (Feltrinelli, 1962, nuova edizione 2009). Delle sue opere successive ricordiamo: …