Giorgio Bocca: Strage di Erba. Il Paese degli angeli carnefici

15 Gennaio 2007
La strage di Erba è un maledetto, irrisolvibile intreccio fra due opposti, la premeditazione e la follia. Gli assassini hanno previsto tutto ma nella strage si muovono come trascinati dalle Erinni. Lei taglia la gola a un bambino di due anni ‟perché strillava e mi faceva scoppiare la testa”; lui, dice il testimone superstite, ‟correva come un matto per colpire tutti a coltellate”: l’Olindo Romano, il netturbino corpulento e dal sorriso dolce, uno che non lo avresti mai pensato. Già, ma il mistero degli uomini sta proprio qui, che per più di quarant’anni uno con l’aria paciosa e il sorriso dolce vive senza strappi, quasi senza emozioni lavando l’automobile, andando in pizzeria, svuotando l’inceneritore della ditta, e poi una sera d’inverno si avventa con il coltello in mano su donne e vecchi, agile come una scimmia feroce, scatenando la sua forza sui deboli e indifesi. Ma perché? Perché facevano rumore sul soffitto, perché il bambino frignava e a lei, la moglie dell’Olindo, ‟scoppiava la testa”. Perché uccidere è la soluzione totale di tutti i problemi della vita, ‟una donna morta” diceva lei, la Rosi, ‟non può più farti una querela perché l’hai picchiata, non può più chiederti cinquemila euro di risarcimento. Una coltellata e non c’è più, finalmente possiamo vivere bene”. Quel modo che ha la vita di intrecciare due cose opposte come la premeditazione e la follia sembra impossibile ma la vita ci riesce. Hai pensato a tutto. Che alle otto di sera nel cortile non c’è nessuno, sono tutti davanti al televisore per il telegiornale. Che il marito di lei, della Castagna, è via, a casa sua in Tunisia. Che hai le chiavi del portoncino, i guanti, due coltelli e un martello... Ma poi entri nella loro casa, lei si mette a urlare, il bambino piange, braccia e gambe si muovono per conto loro, il sangue ti spruzza contro da ogni parte, colpisci, urli, imprechi. Ho guardato Olindo quando se ne andava al carcere sull’auto dei carabinieri, aveva la stessa faccia del falegname Olmo che aveva ucciso la moglie ad Alessandria, di Nadir Chiabodo che aveva ucciso con ventiquattro coltellate la villeggiante Cavallero sul greto della Dora a Entreves, dell’avvelenatore di Rivoli e degli altri portati via in manette. Angeli caduti, con gli occhi bassi, svanita la loro ferocia di nuovo con facce da bambini impauriti. Salvo uno, Gaston Dominici, il calabrese signore della Grande Terre che aveva assassinato i Drummond, nobili inglesi, e anche la loro figlia undicenne con il calcio della carabina sulla testa che ‟sembrava di picchiare su un sacchetto di noci”. Impassibile e fiero davanti ai giudici da cittadino ‟franc e loyal”, come ripeteva di sé, ed era ancora così anni dopo nella fortezza di Marsiglia dove scontava la sua pena assieme al maresciallo Petain, l’eroe di Verdun, collaboratore dei nazisti. Il tunisino Azouz scampato alla strage, interrogato da un giornalista sul razzismo dei suoi conoscenti di Erba ha risposto con una sola parola: Brianza. Per dire terra di Lega, di pregiudizi nordisti, di diffidenze etniche. Ma è far torto alla Brianza, la pedemontana è tutta così da Treviso a Cuorgné, a Saluzzo, a Alba. Un popolo di contadini è entrato rapidamente nella modernità, ne ha adottato i mezzi tecnici e i ritmi, ha tutti i numeri dei paesi più avanzati: in Brianza il primato europeo dei supermercati, degli sportelli bancari, delle scuole tecniche, degli ospedali, dei campi da golf. Dentro, una arretratezza culturale di massa che sembra risalire ai ducati longobardi, un conservatorismo di cemento armato, una estraneità totale alla grande cultura padana che con la Lega ha sbalordito e sbalordisce, come se i Manzoni, i Volta, i D’Azeglio, i Cavour, gli Einaudi fossero di un altro mondo. Nei giorni delle indagini le televisioni hanno mostrato un campionario di questo popolo pedemontano di fronte agli spettri della morte degli innocenti, alle paure e alle ferocie spaventose e in gran parte immaginarie. Una terrificante ignoranza sulla religione e sulla morale, le prediche dei Castagna sul perdono, le minacce del marito di vendetta, tutto questo ravanare su luoghi comuni e millenari, queste ripetizioni ingenue presentate come saggezza popolare: ‟Chi lo avrebbe mai detto, sembrava un tipo alla buona, sempre pronto a scherzare. Gente riservata, in casa dopo le otto. Pensavano solo a lavare il loro camper, dei veri maniaci per la pulizia e l’ordine”. Fin qui ci siamo tutti, è il resto che bisogna capire: il perché della premeditazione che si salda con la follia, il perché due poveracci come i Romano, che hanno passato la vita a inventare l’acqua calda - le prese dell’acqua per lavare l’auto, quelle dell’energia elettrica per ricaricare le batterie, lo stanzino per metterci la lavatrice -, per quale mistero malvagio della specie questi due impazziscono per delle liti di condominio, sono pronti a far strage per un contenzioso di pianerottolo, a tagliare la gola di un bambino di due anni perché piange e frigna. La specie umana è modesta come presenza e come intelligenza, ma come superbia è senza freni e senza pudori. Questa Rosi Romano che in vita sua non è andata oltre il camper, la lavatrice, le mutande pulite per Olindo, di improvviso perché il pianto di un bambino la infastidisce, anzi la fa diventar pazza, si trasforma in un mostro, in una nemica dell’umanità senza esitazioni e rimorsi. Ci sono periodi - scrissi negli anni di piombo - che la società è come le facciate delle grandi banche: imponenti, con immani colonne di granito pesanti decine di tonnellate, da passarci davanti con reverenza perché dietro senti che c’è il controllo dei grandi poteri economici e politici. Ma un giorno la grande società sotto controllo, la massa cementata di reverenze e di obbedienze non tiene più, va in corto circuito come se sentisse un bisogno di salasso, di elettroshock, di sbornia. Allora basta una confusa e velleitaria protesta di estremisti, bastano degli scalzacani morsicati dalla volontà di potenza a rifare un quarantotto, a far tremare lo Stato, a farci riparare dietro porte blindate. Sono tempi di crisi, di mutamento che i giovani nel loro vitalismo non sentono, non curano, ma che terrorizzano gli anziani, i deboli, quelli con i nervi consumati da troppe paure. Per costoro una strage come quella di Erba è la conferma che il caos è dentro le nostre città, dentro le nostre case. Leggiamo ogni mattina le notizie dei giornali, guardiamo la televisione, e la fine del mondo sembra già in corso. In tutte le pacifiche campagne della Padania "uomini neri" da contrade selvagge rapinano, sequestrano, uccidono, cercano con malvagità e intelligenza i modi può crudeli, più fantasiosi per delinquere. E noi non resistiamo al fascino dell’orrore, i nostri giornali, le nostre televisioni hanno fame inesausta di assassinii e di stupri. Finiscono tutti in galera, d’accordo, ma ci sono sempre e comunque i cinque o dieci giorni in cui l’Olindo e la Rosi mettono nelle loro borse coltelli e martelli, aprono la porta dei vicini che disturbano, che fanno rumore, che piangono e frignano, e li cancellano dal mondo. E gli altri, gli utopisti e i rivoluzionari, sono già pronti a gettare altra benzina sul fuoco, pronti per infatuazioni, sogni, bricolage culturali a creare confusioni e dolori in cui crescono tutti gli Olindo e le Rosi di questo mondo. Se ritorno con la memoria a tutti i delitti che ho conosciuto come cronista nella mia vita, non ne trovo un altro così incomprensibile. La coppia dei Romano sfugge a ogni definizione umana e sociale, la loro infelicità, il loro rancore verso il mondo, che certamente ci furono, restano ineffabili. La Rosi era offesa contro Dio e gli uomini perché non poteva avere figli. L’Olindo odiava gli altri e se stesso perché era grasso e pacioso e non faceva paura a nessuno. La morte degli altri, la cancellazione sanguinosa degli altri era l’unico modo per vendicarsi della loro insignificanza in questo mondo dove tutti vogliono essere protagonisti e dominatori? Certo c’è nella ferocia della loro uscita dalla società qualcosa di diverso dalla ferocia bestiale, dalla violenza ferina. C’è l’apocalisse, il ritorno al nulla del mondo senza vita. Youssef, il bimbo di due anni, era sul divano con addosso solo un pagliaccetto. Rosi lo afferra per i capelli, lo solleva un po’per poterlo colpire alla gola come fosse un capretto. La notte dei tempi disumani tornava sulla Brianza. No, proprio non ricordo altri assassini così capaci di odio per le loro vittime. Anzi, con qualcosa di peggio: di ferocia senza vero odio.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …