Gianni Mura: Tour 2007. Pozzato, promessa mantenuta: "Questa tappa me l’ero segnata"

13 Luglio 2007
Primavera italiana. ‟Questa tappa me l’ero segnata” dice Pozzato. Segnata, non sognata. E vinta, con un colpo di reni da artista a inchiodare Oscar Freire, non l’ultimo piffero. E proprio lo spagnolo è il primo a congratularsi col ragazzo di Sandrigo, il paese del baccalà. Gli piace, ma ne mangia solo d’inverno. Vive e si allena a Montecarlo, ha una Ferrari e come pédaleur de charme (la definizione fu coniata per Hugo Koblet) non sfigura. Ha qualcosa del calciatore, somiglia a Enrico Chiesa, ma il suo primo sport fino ai 13 anni è stato l’hockey a rotelle. Quasi più del ciclismo. Poi il padre, titolare di una piccola azienda metalmeccanica, gli ha imposto di scegliere tra le rotelle e le due ruote, e Filippo ha scelto le due ruote. Di calcistico ha il procuratore, Claudio Pasqualin, ma qui finiscono le contiguità. Quando c’è da allenarsi, Pozzato non è secondo a nessuno. Al Tour aveva già vinto nel 2004 a St. Brieuc, ma in una volata ristretta. Qui s’è messo alle spalle settantatré corridori, quel che rimaneva di un gruppo che ha cominciato a perdere i pezzi sulla penultima salita e altri ancora ne ha persi sull’ultima, più corta e secca.
Alla primavera italiana di Autun (mettiamoci anche il terzo posto di Bennati, il settimo di Moreni) fa da cupo riscontro l’inverno del Kazakistan. A 35 km dal traguardo cade Kloden, non sembra una cosa seria. Rientra quasi subito, chiude col gruppo di Pozzato. Ma dopo l’arrivo ha fortissimi dolori al coccige, si teme una frattura. Lo portano all’ospedale, difficile che parta oggi. I ciclisti hanno una soglia molto alta di resistenza al dolore. Ieri mattina non è partito Di Gregorio, che aveva percorso gli ultimi 130 km col gomito destro rotto. Ma l’episodio di Kloden è solo il primo atto. A 25 km dall’arrivo si schianta a terra Vinokourov, colpa di un salto di catena, a 60 all’ora (siamo in discesa).
Si fermano tutti, tranne Kloden e Kasheshkin, ma davanti è già cominciata la rumba ed è ancora bravo il povero Vino (ginocchio e natica destra insanguinati) a limitare i danni: 1’20" all’arrivo. Almeno un minuto l’ha perso per riaversi dallo shock. ‟E all’inizio - racconta Savoldelli - il nostro treno ha dovuto rallentare, perché Vino non era in grado di tenere il passo”. E poi ha dovuto fare slalom tra le ammiraglie, superare un po’ di gente scoppiata, quindi non in grado di dare un cambio, e insomma, se l’è cavata alla grande. Ma per uno che era il primo nell’elenco dei favoriti, la botta al fisico resta durissima. Già aveva noie a una caviglia, curata da un osteopata. Anche per Vinokourov lastre all’ospedale di Digione e poi bisognerà tener conto della botta al morale.
Parola a Pozzato: ‟Mi dispiace sinceramente per Vinokourov. Ho anche pensato di fermare l’azione dei miei, ma sarebbe servito a poco, ormai la corsa era scatenata. A me piace Vinokourov, è una brava persona, non un arrogante. L’ho già visto tirare i freni tre o quattro volte per colpa di corridori giovani che non sanno stare al loro posto. Ve l’avevo già detto, non c’è rispetto per le gerarchie. Quando sono passato professionista io, stavo a tre metri da gente come Armstrong o Cipollini, tanta era la paura di toccarli. Ma un minuto in un Tour così non è tanto, se si sta bene. Ecco perché Vinokourov è ancora il mio favorito. E poi Kloden, se sta bene, Valverde e Moreau”.
Parla volentieri, Filippo il bello. ‟Ci tenevo a questa tappa. Quando era chiaro che Cancellara e i suoi avevano mollato la fuga, sono andato a parlare con Valverde e Freire. Eravamo indietro di 14’, qualcosa bisognava fare”.
La fuga era nata al km 19: Sylvain Chavanel, Gilbert, Bonnet e il piemontese Cheula. I primi due restano soli sulla penultima salita e vengono raggiunti a 11 km da Autun. Cancellara rischia un volo fuori programma alla prima curva in discesa, con atterraggio tra vacche di razza Charolais, ma lo salva la pratica del cross. Perde l’equilibrio sull’asfalto e lo ritrova su una proda erbosa.
Ancora Pozzato, cronaca del finale: ‟Temevo in salita Valverde. Per questo ho controllato la situazione, anche se mi sentivo nelle gambe l’attacco individuale. Dell’arrivo sapevo solo che era in leggerissima salita, di quelli che piacciono a me. All’ultima curva non ero nei primi dieci, poi si è aperto un varco e mi sono lanciato. Ai 250 metri ho toccato Bennati, involontariamente. Non credo di averlo danneggiato, comunque mi scuso. Lì ho perso un attimo e poi ho fatto fatica a rimontare Freire. Mi sarebbe tanto piaciuto vincere a mani alzate, ma non era il caso. Dovevo dare il colpo di reni e dare anche un senso al gran lavoro dei miei compagni in corsa e anche fuori. Ogni tanto mi ritrovo insicuro e loro mi tirano su. Avevamo bisogno di questa vittoria, abbiamo dimostrato che su un percorso adatto siamo in grado di dirigere le operazioni”.
Vittoria che vale doppio? Il ragazzo è sveglio. ‟Se parliamo di dare una bella immagine al ciclismo, sì. Credo di aver vinto una bellissima tappa. Noi abbiamo bisogno di gente sulla strada, sono loro la forza di questo ciclismo. Non lo so se sta avanzando un ciclismo nuovo, so che ci sono ciclisti giovani e bravi, penso a Nibali, a Visconti, che ha vinto un titolo italiano cui tenevo, ma non mi dispiace che l’abbia vinto lui. Io di corse non ne porto a casa tante, ma posso dire che sono pulite”. Non tante ma buone: la Milano-Sanremo l’anno scorso, l’Het Volk quest’anno, per citarne alcune. Ma Filippo lo sveglio riprende: ‟Se poi c’è un riferimento alle vicende di Di Luca, non è la mia opinione che conta ma quella della gente e degli organi che devono giudicarlo. Io lo conosco, so come lavora e per me Danilo ha vinto il Giro con pieno merito”. Infine, sta già pensando al mondiale di Stoccarda? ‟C’è ancora il Tour, penso alla dodicesima tappa, quella che arriva a Castres. Me la sono segnata”. Prendiamo atto.

Gianni Mura

Gianni Mura (Milano 1945). Studi classici, entra alla “Gazzetta dello Sport” nel 1964. Giornalista professionista dall’aprile del ’67. Altre testate: “Corriere d'informazione” (72/74), “Epoca” (74/79), “L'occhio” (79/81). Inviato di “Repubblica” …