Gianni Mura: Tour 2007. Anche Moreni positivo, la bufera del doping sta uccidendo il Tour

27 Luglio 2007
Avanti un altro: Cristian Moreni, 34 anni, già campione d’Italia, corridore della Cofidis, positivo al testosterone nella tappa di Montpellier. Fuori un altro, a casa, sempre Moreni, ma anche tutta la Cofidis va a casa e non per scelta degli organizzatori ma per decisione interna. Al cellulare di Moreni risponde una voce francese brusca. Quella di un poliziotto. L’hanno fermato oltre il traguardo e portato al commissariato di Pau. Tutta la Cofidis è stata interrogata, mentre contemporaneamente veniva perquisito l’albergo, alla periferia di Pau. Moreni ha rinunciato al diritto di chiedere la controanalisi. Eric Boyer, ex corridore e direttore della squadra francese, ha dichiarato: ‟Cristian ha voluto scusarsi con la famiglia, con i suoi compagni, con gli organizzatori. Ha ammesso di essersi dopato”. Dopo un pesce grosso, un pesce piccolo. E le prime reazioni sono dei pesci piccoli. Pineau: ‟Moreni è un mascalzone, se fosse un mio compagno gli darei un bel pugno sul naso”. E Delage: ‟Quando è uscita la notizia di Sinkewitz aveva avuto parole pesanti per il tedesco e il giorno dopo alcuni in gruppo mi hanno rimproverato a muso duro, e tra i più aggressivi c’era proprio Moreni. Adesso capisco”. Moreni e tutta la sua squadra, più quelli della Ag2r, erano stati controllati ieri mattina tra le 7 e le 8 dagli ispettori dell’Uci. Tutto regolare nel sangue. Dalle sue ferie irlandesi Mc Quaid insiste: ‟La maggioranza del gruppo è pulita. Il sistema di controllo è sempre più severo”. Ma un membro europeo del Cio, che preferisce l’anonimato, chiede se non sia il caso di escludere il ciclismo dalle discipline olimpiche. ‟I membri del Cio sono 116 e ogni tanto qualcuno può dire una fesseria” ribatte Pescante, e sono d’accordo con lui. Mentre da Montecarlo Vinokourov giura di non essersi mai dopato e dal Kazakistan il presidente federale nonché ministro della Difesa Akhmedov garantisce che la Astana non lascerà il ciclismo (mi sembra più facile che sia il ciclismo a lasciare l’Astana) i fabbricanti delle bici BMC, sponsor della squadra di Vino, interromperanno il rapporto. Big Pound non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di tirare le orecchie all’Uci: ‟Il ciclismo deve voltare pagina ma anche l’Uci deve prendersi le sue responsabilità. Da oggi servirebbe la squalifica a vita per i dopati, ma sanzioni ridotte a chi confessa di essersi dopato negli ultimi dieci anni e fa nomi e cognomi”. Due corridori positivi in due giorni, quanto basta per riaccendere il dibattito sul ciclismo. Dove sta andando? All’autodistruzione. Si può anche sperare, tiepidamente, che l’eterna guerra si concluda con una catarsi, ma prima dovranno sparire molte facce, non solo di corridori ma di medici, direttori sportivi, finanziatori e dirigenti federali. Se il ciclismo sta morendo di harakiri, il suo corpaccione è comunque conteso e, a quanto pare, appetibile. Per questo il fronte bellico (detesto usare questa terminologia, ma a volte è il caso) non è solo doping-antidoping o bene-male, ma pure Aso-Uci. Farà meno notizia, ma esiste. Dei tanti dubbi su Rasmussen, sgraditissima maglia gialla in carica e al 99 per cento vincitore a Parigi, si dice nell’altro pezzo. La positività di Moreni e quella di Vinokourov dicono che i corridori (a fine carriera, nel caso loro) fanno ricorso a sostanze e metodi facilmente rintracciabili alle analisi. Vino lo ha fatto per vincere, e a molti che credono ai miracoli piaceva quella sua ostinazione da eroe ferito, da Enrico Toti. Piaceva molto anche all’Equipe, che lo aveva arruolato tra i buoni inserendo Rasmussen in cima alla lista dei dannati. E Vino è uscito dalla porta di servizio, anticipando l’arrivo dei poliziotti grazie al giorno di riposo, cosa che Moreni non ha potuto fare. Molti mi chiedono cosa ci resto a fare, al Tour. Ci resto per raccontare quello che succede tutti i giorni, esattamente come i colleghi che in una guerra raccontano i danni collaterali, e nessuno gli chiede di andarsene dall’Afghanistan o dall’Iraq se per sbaglio è stata centrata una scuola o un mercato. Credo che questo sia il nostro lavoro, non è tornandomene a casa che cambierei la situazione (gravissima) del ciclismo. Se ne sentono tante, in questi giorni. Una spassosa l’ho letta su un giornale francese: ‟Bisognerà smettere di fare del ciclismo una metafora della vita”. Padronissimi, ma perché? Forse che nella vita non ci sono imbroglioni che vincono a mani basse? Nella vita va sempre bene agli onesti? Nella vita la competizione è leale, senza trucchi, senza raccomandazioni, senza spinte chimiche o politiche, senza complicità diffuse? Questo ciclismo è perfetto, come metafora della vita. Infatti è malato, come può ammalarsi (o drogarsi) un amico o un parente. Proprio per questo ha bisogno di presenza (di attenzione, di vigilanza) e non di lontananza. L’attenzione, per esempio, è quella di Boyer, che prima di essere sottoposto a interrogatorio al commissariato di Pau ha precisato: ‟Non eravamo obbligati a ritirare la squadra, e nemmeno i veicoli della carovana pubblicitaria. E’una perdita economica e di immagine, ma in questo momento ci sembrava l’unica decisione giusta, ispirata a deontologia. Non so nemmeno, adesso, se la Cofidis continuerà la stagione. Ci sono molte cose su cui riflettere”. E’ vero, molte cose. Secondo me, nel 2008 mezzo gruppo sarà disoccupato, e anche questo è un prezzo da pagare. Ecco perché non me ne vado e spero di esserci, a Brest, nel 2008. Perché il ciclismo pulito può essere, a seconda dei punti di vista, un’utopia, una speranza, un affare, una barzelletta, o più semplicemente tante cose da raccontare.

Gianni Mura

Gianni Mura (Milano 1945). Studi classici, entra alla “Gazzetta dello Sport” nel 1964. Giornalista professionista dall’aprile del ’67. Altre testate: “Corriere d'informazione” (72/74), “Epoca” (74/79), “L'occhio” (79/81). Inviato di “Repubblica” …