Gianni Mura: Tour 2007. Via alla risalita di Vinokourov

27 Luglio 2007
Alle 17.25 ci si pizzica. Ma che film di fantascienza è? Il Pollo plana su Valverde, partito tre minuti prima, e lo pianta lì. C’è di più: il Pollo finisce 11º precedendo specialisti come Millar. E’la sua giornata, ma deve dividerla a metà con Vinokourov, che vince la crono a 48,67 di media e qui non c’è bisogno di pizzicarsi, la vittoria era nell’aria. Aria tempestosa e previsioni meteo sbagliate. Non gli ultimi hanno dovuto correre sotto una forte pioggia, ma quasi tutti tranne gli ultimi dieci, partiti sotto l’acqua, ma poi sempre più sicuri nella pedalata, su strade che si stavano asciugando. Sempre il caso, monsieur Hazard, ricopre un ruolo non secondario. E’così che sono caduti Cancellara, Jalabert, Isasi, Gusev, Kasheschkin, Kloden. Vino non è caduto, ma è stato obbligato alla prudenza nelle curve e nelle discese, e la strada asciutta non l’ha mai avuta. Evans, Contador, Valverde (che ha rimediato una sventola di 6’8"), Rasmussen sì. ‟Ho avuto fortuna” ammette la maglia gialla ‟ma ho anche disputato la prima vera crono della mia carriera. Vera nel senso che in partenza avevo una convinzione diversa, altre motivazioni”. E le voci, i forti sospetti su di lui? ‟Non rispondo a domande che non riguardano la tappa di oggi”. A dirla tutta, e ammettendo che la difesa della maglia gialla possa essere più coinvolgente di una difesa del terzo posto, non c’era nulla che collegasse il Pollo ruggente di Albi al Pollo lesso di St. Etienne, che un anno fa sbagliava perfino le curve in salita. Questo altissimo rendimento in una specialità che non è mai stata sua non disperderà le nuvole che stazionano su Rasmussen, anzi. Se ha tifosi, non si vedono. Mai una scritta per lui, o una bandiera. Può darsi che i danesi lo sentano solo vagamente danese: corre per una squadra olandese, ha sposato una messicana, vive sul lago di Garda e quando non è lì è in Messico, la sua federazione (presieduta da un ex ciclista, Jesper Worre) l’ha fatto fuori dalla nazionale per i mondiali e pure da quella per Pechino. In squadra non ha amici, solo rapporti di lavoro. E’un maniaco della leggerezza, sulla bici vuole una sola mano di vernice. Cerca le spille più piccole e sottili per fissare il numero sulla maglia. A colazione mette i muesli nell’acqua perché il latte è pesante. E comunque, con tutte le sue fissazioni, è ancora lì (Evans a 1’, Contador a 2’31", Kloden a 2’34") in una classifica che Vinokourov sta risalendo come un salmone (adesso è 9º, a 5’10"). Ma con gli occhi del lupo. ‟Pur tenendo conto di bagnato e asciutto, la vera sorpresa è che Rasmussen ha perso meno di 3 minuti e io speravo fossero di più”. Così Vinokourov. E’partito facendosi il segno della croce. Sull’ammiraglia c’era anche suo padre Nikolai, uguale a lui, solo più rughe nella faccia da contadino. Da quando è caduto, nel Morvan, e ancora più da quando ha pianto, con la testa sul manubrio, a Briancon, Vino ha guadagnato molte simpatie tra i francesi. E non si dimentica di ringraziarli. ‟La sera di Briancon ho pensato seriamente al ritiro. Mi hanno spinto a continuare i compagni, tutta la squadra, dal massaggiatore all’osteopata, e molti spettatori mi hanno incoraggiato. Ho ritrovato le mie gambe sulla strada di Montpellier. Adesso posso dire che ci sono anch’io. Il distacco resta pesante. Prima del Tour, la mia idea era di resistere in montagna e vincerlo nelle due crono. Ma la caduta ha cambiato le prospettive e l’ultima crono non è sufficiente”. Analisi esatta. In genere, l’ultima crono registra distacchi più miti, perché tutti sono stremati oppure le posizioni sono già definite. Sulla crono di ieri c’è da aggiungere che Evans, arrivando secondo, ha impedito il filotto dell’Astana e che i due luogotenenti di Vino, pur cadendo e perdendo almeno mezzo minuto nell’incidente, sono ripartiti a tutta manetta come niente fosse. Tre nei primi quattro sul traguardo, tre nei primi nove in classifica. Ma chi è il capitano? ‟Per loro, il capitano ero io da ferito e rimango io da guarito. Qualcuno ha voluto seppellirmi troppo presto”. Questo dice Vinokourov, che non si sottrae a una domanda su Rasmussen: è giusto che sia ancora in corsa? ‟Non entro nel merito di quello che ha fatto o non ha fatto Rasmussen. Credo che la decisione degli organizzatori sia corretta. Però c’è qualcosa che non va nei modi e nei tempi di comunicazione delle varie federazioni”. Ha già un piano per la prima tappa pirenaica? ‟Attaccare. Uno di noi tre attaccherà”. E’probabile, ma la tattica non è così semplice. ‟Kloden è un perfetto numero due. Se gli dico che è il numero uno, diventa nervoso”, raccontava Marc Biver, dell’Astana. Alla quale interessa molto vincere il Tour con Vinokourov, un po’meno con Kloden e Kascheskin che rappresentano al tempo stesso un sostegno e un ripiego. E’sicuramente la squadra più forte, mentre Rasmussen ed Evans sulle salite oltre a se stessi non hanno granché su cui contare. Evans, che va bene a cronometro e sa dosare gli sforzi in salita, ma non prende mai un’iniziativa, è un serio candidato a un gradino del podio, forse non il più alto. Continuo a vedere bene Contador, che significa raccontatore. Al suo primo Tour ricorda il Delgado del 1983: nessun complesso, molto coraggio. ‟Sopravvivere mi ha aiutato a maturare più in fretta” dice Contador. E’di Pinto, quartiere-dormitorio, una ventina di chilometri a sud di Madrid. Il padre, operaio, aveva lasciato la povertà dell’Estremadura. Bel ragazzo, Contador, con lunghe ciglia quasi femminili. Una cicatrice sul cranio gli ricorda l’intervento d’urgenza che nel 2004 gli salvò la vita dopo una caduta in discesa, al Giro delle Asturie. Ma le cicatrici interne gli hanno causato in passato crisi di epilessia (l’ultima a Burgos, l’anno scorso). Già, l’anno scorso era nell’Astana di Manolo Saiz cui fu negata la partecipazione al Tour perché cinque corridori su nove (non lui, non Vinokourov) erano implicati nell’operazione Puerto. In una stagione, da amico a nemico. Bruyneel saprà guidarlo bene, magari giocandosi come lepre il vecchio Leipheimer. Questa la situazione, sulla soglia dei Pirenei e in attesa della terza bomba a orologeria che arriverà sicuramente, forse nel giorno di riposo.

Gianni Mura

Gianni Mura (Milano 1945). Studi classici, entra alla “Gazzetta dello Sport” nel 1964. Giornalista professionista dall’aprile del ’67. Altre testate: “Corriere d'informazione” (72/74), “Epoca” (74/79), “L'occhio” (79/81). Inviato di “Repubblica” …