Marco D'Eramo: Verso le primarie democratiche negli Usa. Obama, l'infanzia di un capo

15 Ottobre 2007
Un chicagoan che non tifi per Barack Obama è raro quanto un texano che non trovi George W. Bush personalmente simpatico, anche se detesta le sue posizioni. C'è nella politica statunitense un campanilismo difficile da cogliere in Europa.
Il campanilismo è particolarmente forte qui nel Midwest, sul lago Michigan, in un'area che da tempo immemorabile non offre protagonisti alla scena politica nazionale. La dinastia politica più famosa di Chicago è infatti locale: i Daley, Richard padre e figlio, ambedue sindaci, che cumulativamente, dal 1955, hanno governato la città per 40 anni (il figlio è stato rieletto quest'anno per la sesta volta, è in carica da 19 anni).
Per una straordinaria coincidenza invece, in questa tornata sono strettamente legati alla ‟Città ventosa” due dei tre favoriti per la nomination democratica per le presidenziali del novembre 2008: Hillary Rodham Clinton è nata a Chicago ed è vissuta fino a tutto il liceo in un suo suburbio agiato, mentre Obama si è trasferito qui nel 1984 e qui è tornato nel 1991, dopo aver studiato ad Harvard, per diventare docente di giurisprudenza alla University of Chicago, poi senatore nel senato dell'Illinois (dal 1997 al 2004) e dal 2004 senatore degli Stati uniti in rappresentanza dell'Illinois.
Con chiunque parli, il tifo per Obama è palpabile: e in particolare tra i progressisti agiati. Susan Gzesh dirige il Programma per i diritti umani dell'Università di Chicago. Il suo appoggio a Obama è totale, lo considera un vero progressista, il candidato più di sinistra che il partito democratico può offrire. Ebrea di sinistra, Susan Gzesh esemplifica bene il sostegno che a Obama viene dagli intellettuali bianchi radical. Grande seguito Obama trova anche tra i giovani radicals bianchi, istruiti, assai simili ai loro predecessori che nel 2000 votarono per Ralph Nader. Con la differenza che Obama si muove dentro al partito democratico, non fuori, e che è ben più abile nel raccogliere fondi per la campagna.
Un fan di Obama è John Wilson, che mi riceve in pedalini nel suo minuscolo e spoglio monolocale con il pavimento coperto di libri e carte, il letto semisfatto, piccola tv e computer. Contro tutte le apparenze, John Wilson, 38 anni, capelli arruffati, barba non rasata, occhialini, è autore di cinque libri tra cui uno sull'attacco dei conservatori all'educazione superiore (Duke University Press), un ‟manuale tattico per progressisti pragmatici” (New York University Press) e, in uscita ora, Barrack Obama. This Improbabile Quest, (Paradigm Publishers). John Wilson ha un dottorato in scrittura, ma ha seguito le lezioni di legge di Obama all'Università di Chicago e da allora è un suo sostenitore. Seduto sul letto, John Wilson mi spiega come il modo di fare politica di Obama è stato plasmato dagli anni passati a fare il community organizer, attività per cui in italiano non esiste nemmeno la traduzione: all'incirca attivista di comitato di quartiere.
Nel 1984, appena laureatosi alla Columbia di New York, Obama si trasferì qui a Chicago e per quattro anni fece il community organizer nel South Side, un ghetto nero. Qui Obama lavorò per il Developing Community Project, organizzazione sorta alla fine degli anni '70 quando il collasso dell'industria siderurgica colpì le aree urbane del sud di Chicago e nord dell'Indiana (Gary) abitate da operai neri e da allora devastate da disoccupazione, povertà e il seguito abituale di delinquenza, alto tasso d'incarcerazione, droga, bande più o meno giovanili.
Anche dopo aver preso i diplomi superiori a Harvard ed essere stato direttore della rivista di legge di quell'università, quindi quando era già lanciatissimo in carriera e pronto a salire i gradini sociali, Obama tornò ancora a fare lavoro di comunità, anche da professore di legge alla prestigiosa Università di Chicago. Questa scelta ha segnato la sua vita. In parte era dovuta al suo sentirsi sradicato. Figlio di una madre bianca dell'Iowa e di un padre keniano, Obama è nato nelle Hawaii nel 1961. Quando aveva due anni i suoi genitori si separarono e lui visse sempre con la madre, prima a Honolulu, poi a Jakarta in Indonesia: questo particolare fa sì che le radio della destra cristiana abbiano già cominciato ad attaccarlo insinuando che a Jakarta abbia frequentato le madrassa islamiche e chiamandolo Obama bin Laden. Poi ha studiato a New York.
Essere community organizer quindi significò per lui un modo per riallacciare i fili con la comunità afro-americana con cui ha avuto sempre rapporti ambivalenti. David Moberg, collaboratore di The Nation, In These Times e altre pubblicazioni di sinistra, ha indagato a fondo su questo periodo di Obama, che - secondo lui - ha condizionato il suo modo di fare politica. Moberg mi riferisce quel che dice Gerald Kellman, che aveva addestrato Obama al mestiere di community organizer: ‟Era la prima volta che Barack viveva in una grande comunità afro-americana... Non solo s'identificava con la comunità nera, ma vi trovò casa. Era sradicato. E vi mise radice. Senza di questo, non avrebbe potuto fare carriera politica. Cominciò a sentirsi a suo agio con se se stesso, non col suo 'essere nero', ma con tutte le complessità di quest'essere nero”.
Naturalmente, per un giovane assai sagace (gli avvocati di Harvard sono temutissimi) nella scelta del volontariato c'era anche un calcolo politico: costruirsi una base elettorale. Ma non solo, secondo Moberg: il lavoro di organizer consiste in gran parte nel mettere d'accordo vicini di casa che si detestano, appianare rivalità di quartiere, arrivare a far collaborare in un'unica direzione posizioni all'inizio contrastanti. ‟Da qui - dice Moberg - viene la sua passione per le soluzioni bipartisan, per lavorare insieme ai repubblicani, dall'idea che fare il politico sia essere un organizer in grande”.
D'altronde, Obama lo ha detto esplicitamente nel 1995 in un'intervista al Chicago Reader, quando stava ponendo le basi per la sua candidatura al senato statale dell'Illinois: ‟Che succederebbe se un politico vedesse il suo lavoro come quello di organizer, parte maestro e parte avvocato, uno che non fa il rappresentante di commercio presso gli elettori, ma che li educa sulle scelte reali che hanno di fronte? Come pubblico ufficiale eletto potrei mettere insieme i leaders religiosi e della comunità più facilmente che da community organizer o da avvocato. Potremmo unirci per elaborare concrete strategie di sviluppo, trarre vantaggio delle leggi esistenti e delle strutture, creare ponti e legami nei vari settori della comunità. Dobbiamo mettere in campo strutture di base che rendano me e altri eletti più responsabili delle nostre azioni”.
Ma, per un uomo che nella vita è riuscito in (quasi) tutto quel che ha intrapreso, l'obiettivo di creare legami solidi con la comunità afro-americana di Chicago non è stato centrato in pieno. Lo si vide nel 2000, quando Obama cercò di candidarsi a deputato degli Stati uniti nella circoscrizione elettorale del South Side di Chicago. Nelle primarie democratiche Obama doveva sconfiggere il deputato uscente Bobby Rush, ex Pantera nera ora pastore battista, che della comunità nera era un campione da decenni. Obama ricevette il voto dei bianchi ma fu sconfitto perché i neri gli preferirono Bobby Rush, un afro-americano ‟vero”. Obama imparò bene, e in fretta, la lezione e da allora ha sempre evitato di mettersi in competizione diretta con i politici neri tradizionali, che spesso sono pastori: Martin Luther King, Jesse Jackson o Al Sharpton (e lo stesso Bobby Rush).
Ho cercato d'intervistare Rush, che avevo conosciuto alla National Convention del Black Caucus a Washington, ma in questi giorni ha ben altre gatte da pelare: dopo che suo figlio Jeffrey, 41 anni, è stato licenziato da una prigione di cui era sorvegliante perché avrebbe avuto rapporti sessuali con le detenute, è saltato fuori che Jeffrey aveva ottenuto questo posto (da 54.000 dollari lordi l'anno, circa 2.500 euro al mese) grazie alle sollecitazioni di suo padre presso il governatore democratico dell'Illinois Rod Blagojevic: dal movimento delle Pantere nere al cabotaggio clientare vi è tutta la parabola di una generazione di politici neri.
Rimane il paradosso che Barak Obama è più popolare tra i bianchi che tra i neri. L'ultimo sondaggio pubblicato da Usa Today dice che Hillary Clinton ha l'appoggio del 62% dei simpatizzanti democratici neri, mentre Obama solo del 34%. Il dato peggiore è che il distacco tra Clinton e Obama è cresciuto di 9 punti tra aprile e settembre: cioè Obama non è riuscito a sfondare nel suo gruppo di riferimento. È uno dei fattori che rendono così delicato questo momento della campagna di Obama. (1-continua).

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …