Giorgio Bocca: Camminare l’arte antica dei santi

08 Settembre 2008
‟Che devo fare?”, chiedo ai medici dei miei malanni. ‟Cammini - dicono - non smetta mai di camminare”. ‟Ma è faticoso”, dico. E loro: ‟Cammini anche con fatica e dolore”. Così cammino, come dai primi anni della mia vita, come a noi uomini è toccato di fare dalla preistoria allo sbarco sulla luna, dove camminare sarebbe facile perché non c’è gravità, ma devi procedere a balzi. Quanto hanno camminato gli uomini! Anche i santi, soprattutto i santi. Di Sant’Antonio da Padova ci sono rimaste le ossa, quelle dei ginocchi, grosse, sporgenti come quelle dei grandi camminatori. Di San Pietro non abbiamo reliquie ossee, ma camminò senza soste, nelle storie e nelle leggende, in tutte le valli alpine lo ricordano quando passava diretto alle Gallie. Non parliamo poi di San Bernardo. E a imitazione dei santi hanno camminato per millenni i pellegrini, quelli che percorrevano la strada Romea, e gli altri che andavano a San Giacomo di Compostela, o anche noi piemontesi che ci accontentavamo di Sant’Anna di Vinadio o San Magno in val Grana. E mi ricordo il parroco di Dogliani che guidava il loro rosario al santuario, e si accorgeva dalle zone di silenzio quando si addormentavano. La patria alpina è la terra dei valichi, percorsi camminando dai nostri padri e antenati. Ci sono rimaste le fotografie degli spazzacamini valdostani che partivano a piedi da La Salle o da La Thuile; salivano nella neve fino al Piccolo San Bernardo per andare a lavorare in Francia a Chambery, ad Annecy e magari fino a Parigi, con le fasce mollettiere a protezione delle gambe. E anche io sono salito per anni a piedi e con gli sci al passo, dove quando c’è molta neve viene fuori dal manto un braccio della statua con un crocifisso impugnato a indicare la terra promessa. Per secoli emigrazioni e conquiste sono state fatte camminando. I soldati dei grandi condottieri, di Alessandro, Cesare, Carlo Magno, Napoleone sono stati camminatori formidabili, da cinquanta chilometri al giorno: quelli di Alessandro dalla Grecia al Pakistan, quelli di Napoleone fino a Mosca, e poi anche loro hanno avuto una "strada del Davai" nella disastrosa ritirata. Ho conosciuto dai soldati italiani dell’ultima guerra mondiale tornati a casa a piedi dai campi nazisti o russi, dormendo di giorno nei boschi e camminando di notte, che è il modo antico degli uomini di sfuggire ai nemici e ai padroni, camminare come camminano i lupi e gli orsi, rubando il cibo di notte nelle case dei padroni. Camminare di notte nel buio, se sei giovane e forte, può darti un senso di onnipotenza: il nemico non ti vede, puoi passare a pochi passi dalle sue sentinelle, vedere la brace dei loro bivacchi, delle loro guardie; potresti anche ucciderli, ma preferisci risparmiarli, da uomo invisibile che passa indenne per i pericoli del mondo. Hanno camminato i santi e i guerrieri, e anche i mercanti, specie i più umili, gli ambulanti, quelli che scendevano a piedi dalle valli alpine e arrivavano al mare per tornare con i carichi di acciughe o di sale per conservare i cibi, a piedi dalla Camargue al Pertous de Visu, la galleria sotto il colle di Traversette per arrivare a Saluzzo e a Torino. Era ambulante anche il nonno del signore della Nutella, che a piedi riforniva i negozi delle Langhe, ed erano ambulanti anche i montanari della val Maira che scendevano in pianura a comprare i capelli delle contadine e ne facevano parrucche per i signori di Parigi. Durante la guerra partigiana abbiamo camminato ogni giorno per ore, fuggendo la morte o rischiandola. Una volta una notte del gennaio del ‘45 nella nostra anabasi dalle montagne cuneesi alle Langhe, attraverso la pianura occupata dai tedeschi, portando a spalla fucili e mitragliatori, con quelle montagne che ci stavano sempre alle spalle, non ci mollavano mai, finché passammo il fiume Stura aggrappati alle corde metalliche legate tra i gabbioni di pietra, e vedemmo spuntare il sole sulle colline del vino. Hanno camminato sempre i miei compaesani piemontesi che oggi hanno scoperto di essere occitani, della langue d’oc che si parla, pare, dalle nostre valli fino ai Pirenei. Durante l’Olimpiade invernale abbiamo riscoperto i parenti occitani che non sapevamo di avere: il pittore Cézanne che era di Cesana, l’attore Belmondo, stesso nome della sciatrice di Pietraporzio, l’attore Fernandel, cioè Fernand Contadin della val Chisone. Un popolo di frontiera, di camminatori cioè di comunicatori di civiltà, quelli che hanno portato oltre le frontiere l’arte di tagliare le scandole di larice, di allevare le bestie, di tagliare le carni, di costruire le case, di rispettare i boschi e salvare gli animali: le volpi, i lupi, le linci, i falchi, le aquile; e anche gli animali delle favole, le volpi con due teste, i lucertoloni con la cresta fiammeggiante, e gli altri dai nomi strani, i Ravasa, i Leberon, i Maga, i Mohecola, bellissimi e orrendi. Ma sì: finché si può, camminiamo.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …