Storie di vite

01 Settembre 2016

IL PAESAGGIO RURALE COME PATRIMONIO IMMATERIALE: VITICOLTURE D’ALTITUDINE IN LOMBARDIA


La ricerca antropologica Storie di vite nasceva qualche mese fa allo scopo di documentare in forma visiva e narrata uno dei patrimoni immateriali della Lombardia, quello delle viti-culture d’altitudine, attraverso la restituzione delle ‘voci’ di coloro i quali si fanno custodi attivi e creativi di questo particolare tipo di paesaggio rurale. Entrato tra i beni oggetto di tutela istituzionale, il paesaggio è forse quello più complesso da definire: ‘luogo di luoghi’, contenitore di diverse percezioni di un territorio, tante quante le attività che lo caratterizzano e le memorie sociali delle comunità che nel tempo lo hanno abitato. Con questa consapevolezza abbiamo rivolto il nostro sguardo alle nuove generazioni di viticoltori, come portatori di una percezione ‘densa’ di paesaggio rurale, di una relazione agita tra l’uomo e l’ ambiente, che ben racchiude il significato stesso dell’attributo ‘immateriale’ conferito ai patrimoni: da un lato le viti_02conoscenze empiriche, i saperi materiali che ‘fanno’ i luoghi, e dall’altro le memorie – familiare, generazionale, comunitaria – qui intese come ponte fra le ‘tradizioni’ ereditate e le scelte del presente. La decodifica di questi piccoli patrimoni rurali lombardi richiede un complesso lavoro di riconnessione culturale: delle relazioni uomo-risorse, della storia locale, dei segni resistenti con i quali i viticoltori odierni si trovano a fare i conti.


Le configurazioni geografiche – aree di pendenza o di altitudine – che accomunano i diversi contesti oggetto d’indagine hanno indotto le società contadine di un tempo a elaborare specifiche concezioni estetico-tecnologiche (come i terrazzamenti a contegno delle superfici vitate o le piccole cantine in vigna, al fine di razionalizzare spazi di per sé poco favorevoli allo sviluppo dell’agricoltura. Questi singolari e fragili paesaggi viticoli sono oggi (ri)pensati dalle nuove generazioni, che si confrontano con uno sfibramento di quelle relazioni comunitarie – l’abbandono culminato negli anni Sessanta del secolo scorso – che prima garantivano continuità nella trasmissione dei saperi e nella cura degli spazi di coltivazione.


Il lavoro di questi viticoltori sembra ripartire proprio da questo tempo ‘sospeso’, da una frattura generazionale che si è consumata; tra ciò che si è ereditato – la terra, le viti, i saperi – e ciò che occorre ri-pensare alla luce delle necessità del presente. I gesti in vigna e le attività di recupero del paesaggio vitato rivelano una visione del lavoro agricolo inteso più come cura che come investimento produttivo.


Un po’ archeologo e un po’ artigiano, il viticoltore diviene custode attivo del patrimonio immateriale, muovendosi tra il recupero di frammenti di paesaggio tradizionale e la loro riattivazione in chiave innovativa. Per questo, forse, c’è bisogno di dare voce attività che, come questa, si pongono il fine non solo di produrre ma anche di dare continuità a quelle memorie materiali e immateriali che le generazioni contadine di un tempo hanno impresso nei territori.

 

Michela Badii
Ricercatrice del progetto Storie di vite

 

STORIE DI VITE

La ricerca “Storie di vite” è promossa da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (nell’ambito dell’area di ricerca Globalizzazione e Sostenibilità) e cofinanziata dalla D.G. Culture, Identità e Autonomie di Regione Lombardia nell’ambito delle attività dell’AESS Archivio di Etnografia e Storia Sociale.

 

 

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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