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#4 - Fieri della Resistenza perché... perché è una testimonianza di impegno civile e religioso

"19 aprile: Quando a Torre credevo mi fucilassero la fede in Dio mi ha confortato. Poi mi ha sorretto nell’attesa. Oggi aspettando la (tort)ura è in Dio solo che spero e ne ho coraggio. Le sue vie sono infinite… sia fatta la sua volontà... Dio mi ha dato il coraggio e non mi abbandonerà mai. In questa attesa tragica i libri non servirebbero... la Bibbia è preziosa. Prego e penso a voi canto passeggiando e purtroppo penso al futuro. Coraggio e fiducia in Dio. Arrivederci di qua o di là".

Willy Jervis nel 1943 aveva 42 anni, una moglie, Lucilla Rochat, e tre figli piccoli, Giovanni, Letizia e Paola. Aveva studiato ingegneria a Torino e poi a Milano dove si laureò. Si era distinto come giocatore di hockey su ghiaccio, ma la sua passione era la montagna: scalatore e sciatore di grandi dote fisiche, divenne accademico del Club Alpino Italiano. Willy aveva un ottimo posto di lavoro a Ivrea, direttore del Centro Formazione meccanici dell’Olivetti, un tranquilla agiatezza economica, una famiglia serena. Dopo l’8 settembre 1943 scelse di farsi partigiano. Grazie alle sue qualità alpinistiche, si impegnò ad accompagnare sulle montagne del confine italo-svizzero i prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento, mosso da un misto di generosa solidarietà e di tranquilla fiducia nella propria abilità di “guida alpina”. Poi aderì al Partito d’azione e ne divenne uno dei capi militari; smessi i panni dell’ingegnere olivettiano diventò un formidabile organizzatore di bande partigiane, di collegamenti con gli Alleati, di infrastrutture logistiche e di nuclei operativi. Si muoveva tra la Val Pellice, la Val d’Aosta, la Svizzera, in un’attività indefessa, troppo vistosa, troppo prolungata, troppo assidua per non farlo, alla fine, cadere.
Willy era valdese, era credente e intorno alla sua fede aveva strutturato una buona parte della sua personalità e del suo carattere. La sua religiosità era intrisa di una impazienza attivistica che nella militanza più direttamente politica trovava la propria compiuta espressione esistenziale. Una fede coltivata da sempre, i cui elementi-chiave sembravano proprio modellati, fin dall’inizio, sulla loro efficacia nell’ assisterlo e confortarlo in un’esperienza estrema come quella che la sorte gli avrebbe riservato. Jervis fu arrestato l’11 marzo 1944. Incarcerato, torturato, fu poi fucilato il 5 agosto 1944. A Lucilla scrisse frequentemente durante i mesi della detenzione alle Carceri Nuove. La drammaticità di quelle lettere si é come raggrumata nella materialità degli strumenti utilizzati da Willy per scrivere: mozziconi di matita, punte di spillo, la carta velina, la pagina bianca di un libro (finché furono permessi), l’interno della sua borsa nera di cuoio sequestratagli al momento dell’arresto e poi restituita alla moglie, il retro delle lettere “autorizzate” ricevute da Lucilla, fino all’ultimo messaggio stilato sul frontespizio di una piccola Bibbia.

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