NON RESTARE INDIETRO - IL CAMPO – DUE

“‘È una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare.’ Così Primo Levi nei Sommersi e i salvati ci raccontò quello che accadde in tutti i lager: l’organizzazione si basava su una delega pressoché totale ai detenuti, che erano costretti a gestire il campo. Anche quando non possiedi più niente hai sempre qualcosa da perdere... e tutti i detenuti lo sapevano.”
La guida aveva incominciato a parlare così dell’uomo in bilico, dopo aver illustrato con precisione la procedura dello sterminio attraverso un gigantesco modellino di gesso del Crematorio II di Birkenau (“Ne vedremo le rovine nel pomeriggio,” aveva detto), quando erano arrivati qui, davanti a questa foto.
“Il punto di contatto più drammatico tra vittime e carnefici,” sta dicendo la guida, “erano i prigionieri addetti al processo di sterminio, i componenti delle squadre speciali chiamate Sonderkommandos. Nell’estate del 1944 fu proprio uno di loro, però, a scattare di nascosto questa fotografia e le altre due che vedete qui esposte. Sono documenti fondamentali che testimoniano il piano di sterminio nazista.
L’uomo nella foto è a torso nudo e sta camminando su un mucchio di cadaveri, quasi di certo ignaro del fatto che qualcuno alle sue spalle sta imprimendo su una pellicola, per chi vivrà nel futuro, questo momento. Gianluca in classe l’aveva detto, Francesco lo ricorda: le fotografie dello sterminio sono state tutte scattate dai nazisti, come a documentare una specie animale in via di estinzione. Tutte tranne tre, ed ecco qua la più importante. Dell’uomo non si vede il volto, e sta per entrare in una nuvola di fumo alta diversi metri, perché lui e gli altri del Sonderkommando stanno facendo il loro lavoro: stanno bruciando i corpi dei morti a decine, nella radura. Più in là alcuni alberi, sfocati sullo sfondo, perché forse la natura se ne sbatteva di quello che stava accadendo nel mondo degli uomini.

 

COLONNA SONORA
Filter, The Best Things, in Title Of Record, 1999

Ci sono volte nella vita in cui vaghiamo, non andiamo da nessuna parte, o – peggio – ci capita di fare cose che non vorremmo, solo perché ci facciamo trascinare dalla nostra rabbia. Non ce ne frega niente di niente e di nessuno, e siamo disposti a farci male pur di reagire. A me The Best Thing dice questo, ma dice anche che ciascuno di noi può fare la differenza. O almeno ci può provare.

 

Noir Désir, Le vent nous portera, in Des visages des figures, 2001

Poi, a volte bisogna ricordarsi che basta affacciarsi dal finestrino e lasciare che il vento ci sferzi la faccia per sentirsi vivi come non mai. Che il mondo va avanti anche senza di noi, anche se stiamo fermi a guardarlo. Quando siamo adolescenti ci sentiamo fragili e immortali, decisivi e inutili, e questi paradossi ci spaventano, credo. Fare i conti con i propri sbagli non è mai facile, ma a volte basta chiudere gli occhi e ascoltare una canzone così, per cominciare.

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