NON RESTARE INDIETRO - IL CAMPO – UNO

Il bianco glaciale abbagliante, la sveglia all’alba, la stanchezza che brucia gli occhi e quella sensazione che ritorna, prepotente. Francesco si trova per la prima volta a darle il benvenuto: gli sembra di potersi aggrappare almeno a lei, prima di varcare la soglia di quel cancello ed entrare in un terreno sconosciuto. Il gruppo è in silenzio, che ascolta parole scandite con delicatezza. La neve scricchiola al contatto con i loro piedi, sotto quella scritta.
“Dopo otto mesi di prigione,” dice la guida, “nel giugno del 1940 arriva ad Auschwitz un fabbro polacco quarantenne, Jan Liwacz, che diventa il prigioniero 1010. Gli viene ordinato di costruire la cancellata del campo, e su di essa quelle che Primo Levi definirà ‘le tre parole della derisione’. Arbeit Macht Frei, il lavoro rende liberi – scritta presente in numerosi lager nazisti.”
Gli occhi di Francesco, infagottati tra il cappuccio e il bavero della giacca, squadrano i compagni della III C e gli altri del gruppo, più grandi, ma avvolti dallo stesso silenzio.
Quasi tutti tengono le mani in tasca o nei guanti, due o tre hanno una macchina fotografica che penzola dal polso, pochi hanno il cellulare in mano.
Le teste inclinate all’indietro, gli sguardi in alto.
“Il prigioniero 1010 gira la B di Arbeit,” prosegue la guida, indicando la lettera più larga sopra e più stretta sotto (e non viceversa). “Il prigioniero 1010 piazza così un sassolino nell’ingranaggio della macchina dello sterminio, deridendo i suoi carnefici. Dopo quattro anni di permanenza ad Auschwitz, Jan verrà trasferito a Mauthausen, sopravvivrà ai lager e vivrà fino al 1980.”
Francesco rimane rapito a osservare quella B al contrario, mentre intorno a lui si scatta qualche foto
Uao, pensa. Vorrebbe vedere il volto di Jan Liwacz, stringergli la mano, vorrebbe poter parlare almeno un secondo con un uomo che seppe dire “Sai che c’è, andate a farvi *******”.

 

COLONNA SONORA
Richard Rodgers e Oscar Hammerstein, You’ll Never Walk Alone, in Carousel, 1945

Per un po' ho pensato che sarebbe stato il titolo del libro: Non camminerai mai solo. Mi basta anche solo pensare a quando i tifosi del Liverpool cantano questa canzone a squarciagola per avere la pelle d'oca. Il senso di appartenenza può essere pericolosissimo, nella Storia e nella nostra quotidianità, ma la forza del gruppo può anche essere una risorsa meravigliosa. Lo capirà, Francesco?
(poi ho scoperto che la canzone originale è del 1945, l'anno della fine della seconda guerra mondiale. L'ho trovato straordinario: era il momento in cui il mondo doveva rimboccarsi le maniche, ricostruire, ripartire)

 

Steve Earle & The Dukes, Billy Austin, in Shut Up And Die Like An Aviator, 1991

Parlando con Alberto, una persona di grande cultura e sensibilità, mi è capitato di raccontargli di come alcuni ragazzi vivano l'esperienza del viaggio ad Auschwitz, talmente preparati a stare male dal sentirsi in colpa se non soffrono abbastanza. E lui mi ha fatto scoprire questa ballata, di tutt'altra ambientazione, nella quale a un certo punto la voce narrante ci dice: “Sapevo che avrei dovuto provare qualcosa, ma non ho versato neanche una lacrima”. È che a volte basta saper piangere, credo, anche se non è mai facile, e non tutti ne sono capaci. E il nostro Francesco ne sa qualcosa.

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