Arianna Cecconi, antropologa e autrice del romanzo La girandola degli insonni, ci racconta in un testo inedito come è nato il suo desiderio di studiare il sonno.

Mio figlio la notte cammina. L’ho scoperto quattro anni fa, un giovedì d’autunno.  Mi sono svegliata alle tre di notte, di soprassalto per un rumore. Mi sono alzata con il freddo addosso, ho attraversato il corridoio in cerca di una finestra aperta. Invece ho trovato mio figlio seduto al tavolo della cucina con le sue piccole gambe che penzolavano dalla sedia. Davanti a lui, una tazza vuota e una scatola di biscotti.
Gli ho chiesto cosa faceva lì. Anzi non gli ho chiesto niente, gli ho detto che erano le tre di notte e a quell’ora si dorme, non si fa colazione. Lui non ha risposto niente e ha continuato a mangiare biscotti, ignorandomi – non ero stata invitata a quella colazione notturna. Il suo sguardo mi ha attraversato, difficile accettare di essere invisibili. L’ho considerata una sfida, allora gli ho strappato i biscotti di mano. Ho alzato la voce. “Ma sai che ore sono? la notte non si mangia, si dorme”. La sua reazione è stata violentissima. Si è buttato per terra gridando. Mi ha afferrato un piede. Anche se aveva solo quattro anni facevo fatica a prenderlo in braccio. Non riconoscevo il suo pianto. “Adesso basta scene, andiamo a letto”. Ho gridato ancora più forte e nel tragitto fino alla sua stanza mi ha graffiato la faccia e morso un braccio. L’ho spinto sul letto, continuava a dimenarsi e a gridare. Ho cercato di tenergli ferme le braccia e alla fine son riuscita a farlo sdraiare. Poi di colpo ho creduto si fosse addormentato.
Mi sono sdraiata accanto a lui, spaventata da quello che era appena successo. Sono rimasta sveglia a guardare mio figlio girato su un lato, la sua faccia ancora più bambina. Ora finalmente dormiva. In realtà anche prima dormiva ma io non lo sapevo.

Ho sempre pensato che il sonno fosse un’azione orizzontale. La notte ti sdrai e dormi. Invece quella è stata la prima notte in cui ho capito che il sonno non lo conoscevo affatto, e mi è venuta voglia di conoscerlo.
Nel centro del sonno di Marsiglia ho visto uomini di mezza età filmati mentre dormivano, accartocciati su sé stessi, a volte stringendo un pelouche: li ho visti alzarsi e fare cose che i loro sogni sapevano, ma loro no. Di notte si scoreggia, si hanno erezioni, ci si tocca, si russa, si sbava, ci si contorce, si ride e si piange. Di notte non c’è pudore, vergogna, le regole si rompono, i corpi – anche quelli più disciplinati – si scompongono. Tutta la fatica che facciamo durante il giorno per darci un contegno, trasmettere una buona immagine di noi, è uno sforzo che il sonno cancella. Vedersi dormire può essere traumatico, dice il dottore del sonno che in genere i filmati li nasconde per proteggere i pazienti. Chissà che fine fanno tutti quei filmati. Un archivio medico di generazioni addormentate e fuori controllo.
Poi a Marsiglia ho incontrato donne che venivano da un altro paese – il Maghreb, le isole Comore – e che vivono da sole, in periferia, in case a volte fatiscenti, con bambini che gli crescono intorno e che non sanno come addormentare. Donne che durante il giorno non escono di casa, perché non hanno un lavoro e non sanno dove andare. Donne che dormono pochissimo non per mancanza di tempo, ma per la tristezza e le preoccupazioni. I loro occhi e le loro teste pizzicano come se mille animali ci camminassero dentro.
Il sonno non è solo natura: è incastrato nei ritmi della società, del lavoro, della scuola, delle stagioni, cambia a seconda del posto in cui sei nato o che occupi nella catena alimentare. Il leone dorme più di tutti perché non ha paura che altri animali possano attaccarlo nel sonno. Invece gli scoiattoli dormono pochissimo, piccolissimi sonni che permettono loro, appena è il caso, di scappare. Anche il sonno degli umani dipende dalla loro posizione nella società? Il sonno degli imprenditori è diverso dal sonno dei precari?

Anni fa, quando sentivo parlare di sonnambuli, quasi li invidiavo, come persone abitate da una vulnerabilità poetica. Creature diafane, in camicia da notte, che si aggirano nei corridoi con le braccia in avanti. Avrei voluto conoscerli. Quando mi ha preso il dubbio che mio figlio fosse uno di loro, la poesia si è trasformata in paura. La notte ho smesso di dormire.
In realtà, già dalla sua nascita il mio sonno è cambiato. Per otto mesi al calare della notte, quando le luci della casa non bastavano a nascondere l’evidenza del buio, le sue grida mi lasciavano disarmata. Era terrorizzato della notte? Aveva fame? Era stanco ma non riusciva a dormire? Non l’ho mai capito. Ho ascoltato e provato tutto.
Consolalo, lascialo piangere, conta fino a trenta, no: fai passare cinque minuti, allattalo, abbraccialo, cullalo, rassicuralo a distanza. Niente ha mai funzionato. Per otto mesi non ha dormito lui e non ho dormito io. Come si insegna a dormire? Non me lo ero mai chiesta. Era un’evidenza. Il sonno si fa da solo, viene da dentro, da una pesantezza o leggerezza che ti trascina in basso o in alto. A ciascuno il suo sonno. Ho cominciato a chiedermelo tutte le notti, ero stanca, nervosa, cattiva madre, poco latte. I figli degli altri dormono sempre meglio.
Ho deciso di studiare come si insegna a dormire. Come fanno gli altri che vengono da storie e paesi diversi. Osservarci, osservare la nostra società, a partire della notte.

La girandola degli insonni di Arianna Cecconi

Aurora è insonne da quando il Lupo, il suo ultimo amore, l’ha lasciata senza una parola. A volte di notte è come se si dimenticasse di respirare, non può più fidarsi di sé stessa: dormire la spaventa – “la paura e la notte sono sorelle gemelle…