In un dialogo con Lisa Cardello – editor responsabile della collana Feltrinelli Comics – e gli ascoltatori, Lorenzo Coltellacci (sceneggiatore) e Mattia Tassaro (disegnatore), raccontano il dietro le quinte del libro È mia la colpa. La vita dei Joy Division, graphic novel che ripercorre la carriera della grande band post-punk.

Iniziamo dal titolo: qual è il significato che si cela dietro a È mia la colpa?

“Si tratta di un titolo sul quale abbiamo ragionato a lungo e che abbiamo scelto consapevoli che fosse molto forte, quasi un pugno nello stomaco. Tutti i fan dei Joy Division, a un certo punto, si chiedono: “Perché Ian l’ha fatto? Perché è arrivato al punto di togliersi la vita?”.
La risposta, per noi, si trova all’interno di una delle canzoni più belle della band, New Dawn Fades, in cui Ian canta “I took the blame”. Ovvero: “Mi sono preso la colpa”, “È mia la colpa”.

La provocazione è che forse la colpa non sia stata del tutto sua, ma siano entrati in gioco altri fattori ed elementi. E quando è colpa di tutto e di tutti, in un certo senso alla fine non è colpa di nessuno. Senz’altro ci sono stati episodi, personaggi e situazioni che hanno accelerato questo processo, ma Ian era un’anima così tormentata che in un certo senso era forse scritto che sarebbe andata a finire così. È mia la colpa è un titolo forte ma doveva esserlo: ce ne siamo resi conto mentre approfondivamo il percorso di Ian.”

Quando e come è nato il progetto di questa graphic novel dedicata ai Joy Division?

“Il progetto è nato ormai due estati fa, anche se a livello embrionale ci stavamo pensando fin dalla pandemia. Sono sempre stato affascinato dai Joy Division, dal film Donnie Darko, dalla canzone Love with tear us apart…” afferma lo sceneggiatore Lorenzo Coltellacci. “Poi ho visto il biopic ispirato alla vita di Ian Curtis, Control, e mi è sembrato in qualche modo necessario raccontare la storia dei Joy Division, vista la mia passione nei loro confronti. Non era mai stata scritta prima una loro biografia a fumetti, né in Italia né all’estero. C’era un vuoto da riempire. Io e Mattia ci siamo trovati: nel capire come strutturare questa storia, siamo stati guidati dai Joy Division e dalla loro musica.”

“Non ero proprio a digiuno sui Joy Division, ma ne conoscevo soltanto i brani più mainstream.” ammette Mattia Tassaro. “Ma il loro genere mi piace, mi evoca delle atmosfere che mi fanno paura”.

Che tipo di studi e di ricerca ci sono stati per creare un ritratto tanto nitido di Ian Curtis?

Abbiamo tentato di dare un ritratto di Ian Curtis a 360°. Ci hanno aiutati diversi libri: Così lontano così vicino di Deborah Curtis, Joy Division - Tutta la storia di Peter Hook, Joy Division. Autobiografia di una band di Jon Savage, che raccoglie tutte le sue interviste... ma ognuno raccontava solo un pezzettino. L’uomo, la band, la Manchester di allora. Quindi abbiamo cercato di mettere tutto insieme e di farne una sintesi”, sostiene Lorenzo Coltellacci. “È mia la colpa è un libro rivolto a tutti: il neofita si può incuriosire, scoprendo aneddoti, ma il fan di vecchia data può sentirsi a casa, ritrovando tutto quello che conosce in un unico punto”.

“Non esistono molte interviste di Ian Curtis, quindi nel processo di realizzazione del fumetto era affascinante dover provare a immaginarselo: come avrebbe pronunciato questa frase?”, si domanda Mattia Tassaro, “che espressione avrebbe fatto?”.

Come avete lavorato per calibrare testi e immagini?

“L’equilibrio si è trovato subito. Lo stesso brano condizionava me e Lorenzo, era come se stessimo scrivendo e disegnando nella stessa stanza, in sottofondo la stessa canzone. È stato tutto molto naturale, e la storia man mano si arricchiva dei vari sottotesti che il titolo di un brano ci poteva evocare,” afferma Mattia Tassaro.

Aggiunge Lorenzo Coltellacci: “Abbiamo cercato di metterci tutta la nostra passione e ci siamo molto divertiti a lavorare su questo libro. C’era sempre qualcosa da aggiungere, sistemare e limare, perché non volevamo stonare”.

Come avete scelto come strutturare la storia e quali elementi biografici tenere?

“Ho sempre avuto ben chiaro quale dovesse essere l’inizio e quale dovesse essere la fine”, sostiene lo sceneggiatore. “Volevo che la storia iniziasse in medias res. È mia la colpa si apre con un flashforward di quando Ian ha tentato un primo suicidio e gli viene chiesto di presentarsi a una visita di controllo psichiatrico. Il caso volle che sbagliasse data e che quindi Ian alla fine non venisse visitato. Non possiamo sapere se le cose sarebbero andate in modo diverso se fossero riusciti a visitarlo. E dopo questo flashforward torniamo agli inizi, alla narrazione cronologica, divisa in capitoli come se fosse una colonna sonora: i capitoli hanno diverse lunghezze, per giocare con il ritmo. Questo non vuole essere un libro solo su Ian, ma sull’intera band dei Joy Division: anche se la sua è una figura preponderante, lo sguardo è sempre a 360°, ed è stato molto intenso selezionare i momenti chiave della vita della band, capire come scandirli e creare il quadro quanto più possibile completo.”

Come avete fatto a non farvi influenzare da Control, il biopic ispirato alla vita di Ian Curtis?

“Avevo visto Control da un paio d’anni, quindi non lo avevo così nitido nella memoria e volutamente non l’ho voluto rivedere fino a quando non ho finito il libro. Non volevo che mi influenzasse, neanche a livello inconscio. Ovviamente ci sono dei passaggi, dei momenti chiave, nella vita di Ian e della band che era obbligatorio raccontare, ma abbiamo cercato di farlo a modo nostro, rifacendoci alle fonti originali: il libro di Deborah Curtis, quello di Peter Hook, quello di Jon Savage. Credo che ci siamo discostati abbastanza dal film”, sostiene Lorenzo Coltellacci.

Aggiunge il disegnatore Mattia Tassaro: “Personalmente Control è stato un’ispirazione dal punto di vista visivo. Il film è un ritratto a caldo, molto da vicino. Ma come per i libri, anche il film dava di Ian Curtis solo un ritratto parziale.”

C’è un aneddoto particolare sui Joy Division che vi ha particolarmente colpito?

“Nella graphic novel c’è un capitolo in cui c’è una sorta di easter egg legata all’aneddoto secondo il quale Peter Hook trattò male dei ragazzini con cui condivideva lo studio di registrazione, senza sapere che questi ragazzini sarebbero diventati gli U2…”, afferma Mattia ridendo.

Gli fa eco Lorenzo Coltellacci: “Addentrandomi nella storia della band e di Ian, mi ha particolarmente colpito rendermi conto di quanto fossero giovani. Leggendo le varie fonti c’erano tanti momenti in cui si comportavano come i ventenni che erano. Uno attraverso le canzoni potrebbe percepire i membri della band come un po’ cupi, ma alla fine erano dei ragazzoni che si divertivano e si facevano scherzi pesantissimi a vicenda”.

La scelta del format della graphic novel a cosa è legata?

“Leggendo fumetti me lo sono immaginato fin dal primo istante così”, ricorda Lorenzo Coltellacci, “così come la scelta del bianco e nero, che mi è sembrata quasi obbligatoria considerato il loro immaginario. Mattia è poi riuscito a dare delle atmosfere potentissime al libro, lavorando sulle scale di grigi e utilizzando dei retini.”

Disegnare usando il bianco e nero è una vera e propria sfida che implica anche il fatto di doversi dare dei limiti. Ho lavorato molto sulla tecnica” afferma Mattia.

Com’è stato avvicinarsi a una band che non appartiene alla vostra generazione?

 “A differenza di quanto accade per il suicidio di Kurt Cobain o la morte di Amy Winehouse, ovvero casi in cui la scomparsa dell’artista è immediatamente collegata alla sua carriera, la potenza dei Joy Division sta davvero nella loro musica, che continua a vivere ancora oggi. Canzoni come Glass, Disorder, Interzone, hanno delle sonorità così attuali che sembrano essere state scritte ieri.”

È mia la colpa di Lorenzo Coltellacci, Mattia Tassaro

Nella storia della musica rock c’è una linea d’ombra. Quella tracciata dai Joy Division nella loro vita così breve, eppure mai finita. Bernard Sumner, Peter Hook, Stephen Morris e Ian Curtis, soprattutto lui, sono stati – e lo sono ancora oggi, sempre di più, per le…