Italia mia! Vedo neri stendardi di malaugurio agitarsi all’orizzonte.
Tutto adesso è chiaro, dichiarato ormai senza infingimenti: la nuova politica è la guerra ai poveri, il trionfo delle bugie, del bigottismo, dell’ignoranza e dell’odio, la restaurazione di uno stato di polizia.
A tutto questo ha contribuito il linguaggio dei pavidi, che si sono castrati da sé parlando “politicamente corretto” e, per troppo raffinato argomentare, hanno ridotto la democrazia al regno dello sbadiglio.
Per questo dalla mia irsuta Caprera vi chiamo alla battaglia. Dove siete, bergamaschi di oggi? Non vi accorgete che tutto ciò che avete detestato, quando siete partiti coi Mille, oggi è al potere? Quale condottiero seguite, voi, popoli del Sannio e del Matese che con me vi siete buttati nell’avventura per abbattere la tirannide borbonica? E voi, siciliani di Trapani, Salemi e Milazzo, lo udite il famelico ululato degli sciacalli? Sì, sono certo che lo sentite.
A Calatafimi, sappiatelo, contro l’arrogante schiera dei Regi vinsero degli straccioni. Vinsero con l’anima, non con le armi, perché pochi noi eravamo. È così che un manipolo di plebei sprezzanti del periglio decisero il destino d’Italia in quel giorno sublime.
Per chi ha ancora sangue nelle vene, è questo il momento di lottare. Sento un’energia enorme, un’immensa domanda di giustizia salire dalla nostra povera gioventù senza futuro.
Io ci sono, e ci sarò sempre per i silenziosi eroi che tengono in piedi questo paese. Per i medici, contadini, i macchinisti, i maestri di scuola, gli onesti funzionari. Ad essi mi inchino, perché essi sono la patria vera.
Perdona, Italia, se le tue sventure e il mio dolore talvolta mi rabbuiano e tetra fanno l’indole mia. Ma poiché è nello sdegno la forza che mi rimane, posso dire agli italiani: siate scomodi, come fummo noi; noi che venimmo rinnegati da un potere ingrato e dai suoi servi! La sovversione si accenda nell’anima vostra; e ricordate che senza la nostra rivolta non si sarebbe fatta l’Italia!
Se dissi un giorno “Obbedisco”, a voi grido forte: “Disobbedite!”. Non fatevi inghiottire dalla melassa della rassegnazione, non siate muti davanti all’insulto, ritrovate la forza del linguaggio e ricordate che io vinsi anche con le parole! Fate echeggiare gli squilli della mobilitazione generale! Io sono ancora l’Italia possibile! E sarò sempre qui a pungolarvi con i miei speroni d’argento uruguaiano!
Ah, vento di Caprera, aura di libertà!
Giuseppe Garibaldi, presente.
Paolo Rumiz trae dall'introduzione al suo ultimo libro, Bella e perduta, un appello agli italiani. Un richiamo alla partecipazione attiva, scritto immaginando quello che oggi direbbe loro Garibaldi: "Svegliatevi!".
Bella e perduta di Paolo Rumiz
Cos’è oggi Garibaldi? È un linguaggio forte e liberatorio che rompe col politicamente corretto, stronca ogni rigurgito di fascismo e non teme di chiamare le cose col proprio nome. È una topografia corsara che riaccende memorie ovunque e compone il ritratto di un eroe sconfitto,…