Ernesto Ferrero

Ernesto Ferrero (Torino, 1938) inizia a lavorare nell’editoria nel 1963, presso Einaudi, di cui diventa direttore editoriale. Ha lavorato anche da Boringhieri, Garzanti e Mondadori. Dal 1998 è direttore della Fiera internazionale del libro di Torino. Tra le sue opere ricordiamo: Barbablù (Mondadori, 1975; Einaudi, 2004), il romanzo N. (Einaudi, 2000, Premio Strega), L’anno dell’Indiano (Einaudi, 2001), Lezioni napoleoniche sulla natura degli uomini, le tecniche del buon governo e l’arte di gestire le sconfitte (Mondadori, 2002), il monologo teatrale Elisa (Sellerio, 2002), La misteriosa storia del papiro di Artemidoro (Einaudi, 2006) e Primo Levi: la vita, le opere (Einaudi, 2007). Traduttore di Céline (Viaggio al termine della notte, Casse-pipe) e di Flaubert (Bouvard e Pécuchet), è collaboratore de “La Stampa”. Feltrinelli ha pubblicato I migliori anni della nostra vita nel 2005.

Ernesto Ferrero

I migliori anni della nostra vita di Ernesto Ferrero

Come in un romanzo, abbiamo un protagonista e molti personaggi che agiscono con lui, intorno a lui, malgrado lui e contro di lui. Il ruolo di protagonista è quello dell'Editore, Giulio Einaudi: "La felicità che l'Editore perseguiva era di una speciale qualità langarola, insieme terragna e umbratile…

"Un´isola nel paese che non legge". Intervista a Ernesto Ferrero

"Un´isola nel paese che non legge". Intervista a Ernesto Ferrero

Ernesto Ferrero, a conclusione della Fiera del Libro, traccia il bilancio della diciottesima edizione e analizza il rapporto con la lettura degli italiani. ‟Abbiamo ormai raggiunto la velocità di crociera, possiamo contare su questo pubblico straordinario che è il vero eroe. E un pubbico che compra e vede tutto”.

Galassia Gutenberg da rafforzare con il sostegno delle istituzioni. Un'intervista a Ernesto Ferrero

”A ogni morto ammazzato e episodio di violenza rimbalzato da Napoli soffro come un cane perché non riesco ad associarli all'idea che ho io di Napoli”, dice Ferrero. ‟Amo profondamente questa città, o meglio i napoletani, perché in loro la perfetta conoscenza dell'umano, della relatività delle cose, dei rapporti sociali come recita a soggetto, insomma una visione sostanzialmente tragica della vita si sublima in un humour malinconico, in una teatralizzazione autoironica che strizza l'occhio allo spettatore-complice. Eduardo, insomma, Totò, tanti altri ‘grandi’. Io sto bene, con i napoletani d'ogni età e specie, li sento fraterni in una specie di pietas verso la fragilità dell'esistente, che è poi è la sua struggente bellezza, la sua necessità, nello scatto umoristico, nella siderale lontananza da ogni fanatismo, da una visione manichea del mondo. Anche solo pensare a Napoli mi dispone internamente a una specie di sorriso che è il riconoscimento di una fraternità, una tenerezza quasi del sangue. Forse questo discende da qualche eredità genetica, forse è semplicemente il fatto che i veri parenti uno se li sceglie”.