Marco D'Eramo: Ground zero, la nuova metafora del male

09 Settembre 2004
La maglietta con il World Trade Center Memorial, con su scritto "In Memoria di coloro che perdemmo l'11 settembre 2001" costa 16.99 dollari più tasse, come anche la maglietta per la "Rinascita delle Torri gemelle". Anche il ‟Calendario di Eroi (2005) Pompieri di New York” costa 16.99 dollari più tasse. Invece il berretto da baseball con la scritta ‟FDNY-NYPD” (Pompieri di New York - Dipartimento di polizia di New York) costa 23.99 dollari più tasse. L'articolo più caro proposto dal fondo assistenziale per l'11 settembre è una T-shirt con un acquerello esclusivo di Michael Storring che ritrae la sede dei pompieri del Greenwich Village ("meraviglioso tributo ai pompieri di New York)": 74.99 dollari più tasse. Una simile vendita sarebbe stata impensabile nell'autunno 2001. Anche un anno dopo sarebbe sembrata irrispettosa. Ma il tempo lenisce le ferite più dolorose e dimostra la futilità delle nostre perentorie affermazioni "Nulla sarà mai più come prima". Nell'autunno 1918 immani folle giuravano che quella appena finita sarebbe stata "l'ultima guerra": invece era solo la Prima guerra mondiale.
Così sta avvenendo per l'11 settembre 2001: ogni orrore in più che gli umani si ostinano a produrre - l'ultimo nella scuola osseta di Beslan - respinge quella strage non nell'oblio, ma nella ritualità. Già è scomparso Ground Zero, come lo vedemmo nell'autunno 2001: una composizione cubista di metalli distorti, una torsione dello spazio inquadrata dai grattacieli circostanti, una macabra bellezza sublime. Oggi Ground Zero è un operoso, immenso cantiere come ce ne sono tanti al mondo, e la prima pietra della Torre della libertà è già stata posta.
Così oggi l'11 settembre è ovunque nella società americana, e da nessuna parte. Le stesse cerimonie per il terzo anniversario trasudano di ritualità. Il sindaco di New York Michael Bloomberg e il governatore dello stato di New York George Patacki hanno annunciato che - come negli anni precedenti - la commemorazione si terrà al mattino nel sito del World Trade Center (la differenza è che - appunto - non è più ‟Ground Zero”, ma un cantiere): "Genitori e nonni avranno un ruolo importante nella cerimonia di quest'anno leggendo i nomi delle vittime, mentre la musica costituirà il sottofondo del programma (saranno 200 i genitori e i nonni, e ognuno leggerà all'incirca 14 nomi: l'anno scorso la lettura era toccata ai bambini). La lettura s'interromperà in quattro momenti - due volte per segnare l'ora esatta in cui ogni aereo colpì le torri (8.46 e 9.03), e due volte per segnare l'ora esatta in cui ognuna delle due torri crollò (9.59 e 10.29). Il primo momento di silenzio sarà alle 8 e 46 del mattino e, come sempre i luoghi di culto saranno incoraggiati a rintoccare in quel momento le loro campane. Mentre i nomi saranno letti, le famiglie potranno scendere al livello più basso del sito e deporvi i fiori. La cerimonia si concluderà approssimativamente a mezzogiorno, ma il sito resterà aperto alle famiglie fino alle 16". A partire dal tramonto, si terrà per tutta la notte un "Tributo in luce" - come ogni altra notte di anniversario - con meravigliosi fasci di luce proiettati dal suolo verso il cielo a simboleggiare le due torri.
È sotto tono anche la preparazione mediatica dell'anniversario: rispetto agli anni precedenti ci sono molti meno programmi tv, meno articoli di riscaldamento nei giornali.
E il "Nulla sarà come prima" si è trasformato in un'esasperazione di tutti i caratteri tradizionali di questo paese. Era sempre stato autistico, autocentrato rispetto al resto del pianeta, ora è addirittura "disconnesso" dal mondo. Era sempre stato incline a overreact, cioè a reagire eccessivamente, ora è diventato un metodo costante di governo. Una sottile vena di paranoia del timore aveva sempre percorso questa nazione, ma dall'11 settembre in poi quattro lettere timbrate bastano a gettare nel panico il paese e a far chiudere il senato, come avvenne nel novembre 2001. Gli Stati uniti erano sempre stati tentati dal rispondere alle crisi mondiali in puri termini militari, ora sono militaristi in modo plateale. Avevano sempre avuto un penchant unilateralista, ora ne hanno fatto la loro dottrina ufficiale di politica estera.
Sembra che si stiano producendo due eventi simmetrici e inversi nell'immaginario statunitense: da un lato la ferita del dolore si lenisce, la cicatrice si chiude; dall'altro lo choc del timore s'ingigantisce. Più passano gli anni, più la vera eredità dell'11 settembre diventa l'interiorizzazione del panico. Se subito dopo il crollo delle Twin Towers, l'11 settembre era stato sentito come una grande tragedia, già un anno dopo era diventato la più grande tragedia della storia, e ora è assurto all'unica tragedia dell'umanità. Questo processo produce un disinteresse, una freddezza nei confronti delle sofferenze altrui, come si è visto in questi giorni in cui tv e giornali europei trasudavano commozione e dolore per i bambini di Beslan, mentre qui i media registravano gli eventi con trascurata compostezza.
Parlo con la storica Victoria de Grazia, ordinaria alla Columbia University, autrice del Dizionario del fascismo e che ora sta pubblicando presso le edizioni di Harvard un libro sull'imperialismo culturale e commerciale americano nel `900, su come cioè gli Usa riuscirono a imporre non solo le proprie merci, ma i propri gusti, la propria cultura, su come conquistarono l'egemonia dell'immaginario. "La vera modifica che l'11 settembre ha apportato nella società americana è nella percezione dei rischi. Il terrorismo è percepito come il rischio numero uno, anche se naturalmente in termini statistici la gerarchia dei rischi lo vede molto in basso (negli Usa muoiono circa 45.000 persone l'anno per incidenti stradali e circa 27.000 persone l'anno di banale influenza, ndr). E quest'alterazione nella percezione dei rischi è intrattenuta ad arte ed è alimentata dall'attuale amministrazione che vede nella paura uno strumento per far passare a piacimento tutte le sue politiche".
Non è un caso infatti se il partito repubblicano ha tenuto la sua Convention a New York alla fine di agosto, alla vigilia del terzo anniversario, per incassare le cedole del capitale politico del terrore: parenti delle eroiche vittime sono state esibite e l'oratore di maggior successo è stato Rudolph Giuliani che era sindaco di New York all'epoca degli attentati.
Ma anche qui la dinamica è duplice e inversa: se la guerra in Iraq è stata - tortuosamente - motivata come una reazione all'11 settembre (che ne ha costituito l'alibi presso l'opinione pubblica), dall'altro canto però, mi fa notare Victoria De Grazia, la guerra in Iraq compete con l'11 settembre nella sfera del timore dell'opinione pubblica. Le immagini delle stragi, dei bombardamenti, delle decapitazioni, delle torture a Falluja e a Baghdad fanno sbiadire quelle delle Twin Towers, non le rafforzano. E lo si è visto alla Convention repubblicana dove della guerra in Iraq è stato delineato un ritratto idillico, mentre l'11 settembre assurge al "terrorismo per antonomasia". In questo terzo anniversario il governo Usa sta portando a termine il processo di smaterializzazione di quell'attentato: l'11 settembre è diventato ormai pura metafora del male universale.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …