Marco D'Eramo: Presidenziali USA. La buona notizia

09 Settembre 2008
Se tanto mi dà tanto, John McCain è messo davvero male. Troppo somiglia al John Kerry del 2004: non solo perché sono ambedue senatori di lungo bordo, e neanche perché entrambi sposati a due ingombranti miliardarie. E nemmeno perché sono due eroi di guerra (nel Senato Usa gli eroi sembrano ottimi cacciatori di dote). Ma perché Mc Cain sta costruendo tutta la sua campagna sul proprio eroismo durante la guerra in Vietnam, proprio come Kerry edificò la sua sul proprio eroismo in Vietnam, col risultato che sappiamo.
Qui ci viene ripetuta fino alla nausea la saga del giovane pilota di marina tenuto prigioniero per cinque anni e mezzo nelle prigioni vietnamite (l'«Hanoi Hilton»), che si fece torturare pur di non chiedere pietà. Il problema con questi ricordi del Vietnam è che sono fuori tempo massimo, come le polemiche sul '68: chi aveva vent'anni allora ne ha 60 oggi; e chi ne ha venti oggi li considera come un sessantottino poteva guardare alla prima guerra mondiale. Per di più, la costruzione dell'eroe è rischiosa di per sé, perché nulla delizia tanto le folle quanto infangare e sgretolare un mito. E poi c'è la stessa Convention repubblicana. Neanche la candidata alla vicepresidenza, la scatenata governatrice dell'Alaska Sarah Palin, è riuscita a riempire il pur piccolo palazzetto dello sport di St Paul: il primo giorno si poteva capire che fosse mezzo vuoto, viste le defezioni provocate dall'uragano Gustav.
Il secondo giorno la Convention si stava riorganizzando ed era ancora accettabile che solo due terzi delle gradinate fossero pieni. Ma che il terzo e ormai penultimo giorno, con i grandi tenori del partito in campo, un quarto delle poltrone fosse ancora vuoto, offre un'istantanea desolante dello stato in cui versa il Grand Old Party (Gop). Il paragone con la Convention democratica è impietoso. Non solo per l'immenso stadio gremito da 85.000 persone per il discorso finale di Barack Obama, ma anche per l'andamento generale: lì, già dal secondo giorno, due ore prima che iniziasse il clou della seduta, le gradinate erano zeppe, ed era impossibile trovare un posto a sedere, persino nella zona cieca che guarda il retro scuro del megaschermo dietro al podio.
Qui il tono stesso delle assisi è nostalgico, da lungo addio. Il crepuscolo di un'era repubblicana. La sotterranea coscienza, anche se rimossa, di trovarsi alla vigilia di una traversata del deserto. E, tranne in qualche momento, un'assenza di convinzione: secondo la bella espressione francese, le coeur n'y est pas . E poi vi sono due cruciali debolezze politiche. La prima è che John McCain sembra aver rinunciato del tutto a corteggiare gli elettori del centro, i cosiddetti indipendenti. Terrorizzato all'idea che possa non recarsi alle urne il blocco elettorale dei cristiani conservatori che per due volte ha assicurato la vittoria di George Bush, McCain si è consegnato loro mani e piedi. Ogni voce moderatamente liberal è stata censurata dalla Convention. Il messaggio è quello classico. Il tentativo è di resuscitare Ronald Reagan, santo protettore e nume tutelare del Gop. Non solo, ma di resuscitare la guerra ideologica Reagan contro Kennedy, sperando di ripetere la vittoria del primo sul secondo. Ma così McCain si priva di quella che era una delle sue carte più forti, e cioè la sua fama di dissidente, cane sciolto, battitore libero ( maverick si dice qui). Il filo-gay in un partito omofono, l'antitagli delle tasse in un partito leghista, l'ambientalista in un partito di petrolieri.
Qui si è invece adeguato in tutto e per tutto. È impressionante come il Gop sia diventato di fatto solo il portavoce della lobby petrolifera, ancor più di quando il petroliere Cheney era vicepresidente. Non si parla d'altro che di scavare pozzi dappertutto: non a caso è stata prescelta per la vicepresidenza la governatrice di uno stato, l'Alaska, in cui i repubblicani vorrebbero trivellare di più. Ma la vera difficoltà per McCain è che, a parte la trita tiritera sui democratici che aumentano le tasse, vogliono uno stato elefantiaco e inefficiente, e consegnano i cittadini nelle mani dei burocrati, il Gop non ha nulla da dire sull'economia, non ha uno straccio di proposta. Per dirla tutta, la Convention si comporta come se il Gop fosse all'opposizione da vent'anni, come se i liberals governassero l'America dai '60 in poi, come se i repubblicani esprimessero il disagio dell'America profonda, suburbana e rurale contro l'elite metropolitana e i politicanti di Washington.
Ma negli ultimi 40 anni i repubblicani hanno governato per 28 anni. L'intero periodo è stato segnato e dominato non dal progressismo liberal ma dalla rivoluzione reaganiana. E il paese esce da otto anni di presidenza Bush. Ce ne vuole per convincere l'America del contrario. McCain dovrà pedalare se spera di arrivare in testa al traguardo del 4 novembre.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …