Marco D'Eramo: Presidenziali USA. Sonnifero McCain, cala il sipario sulla convention

09 Settembre 2008
Meno male che c'è John McCain! Dopo la tremenda notte di mercoledì in cui avevano subito devastanti attacchi di violenza (ed efficacia) inaudita, i democratici e Obama devono aver tirato un bel sospiro di sollievo ascoltando il discorso conclusivo del candidato repubblicano. Intanto è la prima volta, nelle tante conventions cui ho assistito, che il discorso finale non riesce a riempire la sala. Anzi, ad ascoltare McCain c'era meno pubblico della sera prima per la governatrice dell'Alaska Sarah Palin, candidata alla vicepresidenza. E poi, che discorso! Alcuni astanti dormivano. Altri applaudivano educati. Una sconclusionata tiritera di quasi un'ora che andava e veniva tra politica estera e interna, tra ricordi del Vietnam e divagazioni. Un tono piatto. Vecchio, ma non per gli anni sul groppone: Ronald Reagan e François Mitterrand fecero campagne elettorali più tardi di McCain, che ha 72 anni: ma erano molto più pimpanti. Lui sembra liso dal tempo. I sondaggi ci diranno nei prossimi giorni se questa Convention è riuscita a risollevare le sorti dei repubblicani. Personalmente ne dubito. L'unica novità è stata proprio la Palin che ha elettrizzato la sua base. Bisognava vederli i giovani incravattati gridarle «Ti amo Sarah!». E l'unico applauso scrosciante ricevuto da McCain è stato quando ha parlato di lei. L'intenzione di McCain era chiara: giocare al bad cop/good cop , poliziotto buono e poliziotto cattivo. Il problema è che la poliziotta cattiva è davvero cattiva, mentre l'altro sembra buono ma scemo. E anche un po' pericoloso. McCain si è presentato come bipartisan , ha espresso - pur nel disaccordo - ammirazione e rispetto per quell'Obama che la sera prima era stato deriso e linciato dai Mitt Romney, Mike Huckabee, Rudy Giuliani, Sarah Palin. Si è detto pronto a collaborare con i democratici. Insomma ha distribuito le parti: con il suo estremismo e la sua gioventù (44 anni), la Palin deve rimotivare la base repubblicana e i cristiani conservatori. Lui invece, con i toni moderati deve pescare nel centro e tra gli indipendenti. Ha rivendicato il proprio ruolo di maverick (cane sciolto), ma l'applauso della platea è stato solo di cortesia quando ha chiesto al partito repubblicano una seria autocritica, per «essere andato a Washington per cambiare Washington, ma ha finito per farsi cambiare da Washington», si è fatto corrompere, ha perso di vista i propri obiettivi e quindi ha «perso la fiducia degli americani». L'autocritica serviva a McCain come base per presentarsi come agente del cambiamento e per distanziarsi da Bush (che non ha mai nominato in tutto il discorso, riferendosi a lui una sola volta come al «presidente», mentre ha citato per nome e cognome Laura Bush). L'intenzione era trasparente, scippare a Obama la carta del change . Ma di quale cambiamento si tratti non è chiaro: nel suo discorso McCain ha ripetuto la solita lista della spesa di tutti i candidati repubblicani: la volontà di riformare Washington, tagliare le spese inutili, ridurre la burocrazia, tagliare ancora le tasse. L'unica proposta chiara è scavare pozzi di petrolio. Tutta la Convention repubblicana è sembrata in preda a paranoia petrolifera, tanto che la sala ha scandito cantando lo sloga drill, baby drill («trivella, baby, trivella»). Ma anche qui, McCain è sembrato preda di due strategie contrastanti, una che consiglia di moderare i toni e l'altra che spinge ad azzannare l'avversario. Come tutti gli altri oratori, McCain ha dipinto Obama come qualcuno che vuole aumentare le tasse: ora nel suo discorso Obama ha detto proprio il contrario, e cioè che vuole diminuire le tasse per il 95% delle famiglie americane ed aumentarle solo per i redditi superiori ai 250.000 dollari l'anno. Non si ha idea della retorica repubblicana se non si considera quanto McCain ha detto sulla sanità Usa che i democratici vogliono riformare per avvicinarsi al modello di un sistema sanitario nazionale che ponga fine all'aberrazione per cui nello stato più ricco e più potente del mondo 45 milioni di americani (il 15% della popolazione) sono privi di copertura sanitaria: «Il mio piano per la sanità renderà più facile per più americani trovare e ottenere una buona assicurazione sanitaria. Il suo (di Obama) piano costringerà le piccole imprese a tagliare posti di lavoro, ridurre i salari e costringerà le famiglie in un sistema sanitario statalizzato in cui tra voi e il vostro dottore ci sarà il burocrate». Ma è la politica estera il terreno in cui un'eventuale presidenza McCain fa più paura. Non solo per la retorica dei muscoli che ha permeato tutta la Convention, in cui il termine nation building ha preso il significato di body building : basta pensare all'ovazione che ha accolto la citazione di Theodore Roosevelt (presidente repubblicano dell'inizio '900, da non confondere con il democratico Franklin Delano Roosevelt, promotore del New Deal negli anni '30): «bisogna avere sempre un linguaggio morbido e un grosso bastone». McCain ha lanciato non solo pesanti, ma prevedibili, avvertimenti all'Iran; ha anche attaccato frontalmente la Russia accusata di aver invaso una piccola democrazia indipendente (la Georgia), ripetendo spesso che non esiterà a usare la forza. Conoscendo la sua fama di bullo (da ragazzo lo chiamavano John McNasty, «John De Bulli), sapendo che il nonno era ammiraglio di marina (gran lavoratore e bevitore), il padre era ammiraglio di marina (gran lavoratore e bevitore), lui stesso è stato capitano di marina e suo figlio è un marine stanziato in Iraq, la sua bellicosità non può essere presa sottogamba (tanto più che durante la Convention la polizia ha compiuto più di 500 arresti, una buona parte proprio durante il discorso di McCain). Altro da riferire non c'è, ed è un po' poco per un discorso di un'ora, a meno di non riportare per l'ennesima volta l'ennesimo racconto autobiografico sui suoi cinque anni e mezzo trascorsi nelle prigioni di Hanoi, sulle torture che vi ha subito e sulle lezioni di vita che ne ha tratto. Eimèn , come pronunciano qui, cioè: Amen.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …