"Mi arrampicai sul nostro mandorlo: Abbas e io l'avevamo soprannominato 
Shahida, testimone, perché passavamo così tanto tempo tra i suoi rami a 
guardare gli arabi e gli ebrei che ormai era un compagno di giochi, e si
 meritava un nome. L'ulivo a sinistra di Shahida era Amal, speranza, e 
quello a destra era  Sa'dah, felicità, felicità."
	Palestina, metà degli anni cinquanta. Mentre il conflitto 
arabo-israeliano infiamma, Ichmad - dodici anni, un talento non comune 
per la matematica e un'ammirazione sconfinata per Albert Einstein - 
scopre per la prima volta cosa siano la violenza e la paura. La sua 
famiglia viene costretta dall'esercito israeliano a trasferirsi in un 
misero fazzoletto di terra rallegrato soltanto da una pianta di 
mandorlo, unica fonte di sostentamento e ristoro. Ma i problemi non sono
 finiti: quando il padre di Ichmad viene imprigionato con l'accusa di 
aver nascosto delle armi, spetta al primogenito prendersi cura della 
madre e dei fratelli. Ichmad deve trovare un lavoro, e in fretta. Suo 
unico conforto, il mandorlo in fondo al giardino.
	Anno dopo anno, ingiustizia dopo ingiustizia, i suoi fratelli 
soccombono all'odio verso Israele, invece Ichmad lotta per dare un senso
 a ciò che lo circonda e, grazie alla sua intelligenza matematica, vince
 una borsa di studio per l'università.
	Intanto il mandorlo resta lì, in fondo al giardino d'infanzia. Mentre 
la Storia fa il suo corso. Mentre Ichmad, ormai adulto, riesce a 
emigrare negli Stati Uniti nonostante l'opposizione della famiglia. 
Mentre capisce cosa siano l'amore e il lutto, la rabbia e il perdono. E,
 riappropriandosi delle proprie radici, finalmente ricomincia a sognare.