Dall’inizio del Novecento con l’avvento delle avanguardie storiche, e in particolare del surrealismo, la storia della fotografia è attraversata da immagini irreali e angoscianti che si legano all’inconscio e all’onirico, all’ignoto e al fantastico. Oggi queste immagini non riguardano più la sola dimensione interiore e psicologica, ma le vicende folli e tragiche della storia. Alla dimensione metafisica dello sguardo si contrappone ora un fotografare che documenta le malattie e le guerre, le tragedie e le violenze nate da un’ossessione di morte più che di vita. Sono immagini controverse e inquietanti, attestati di un reale orrifico e crudele che coinvolge tutta la società, dall’individuo alla famiglia, dal genere all’etnia. Qui la fotografia rifiuta ogni funzione di decoro per raccontare il non-detto e il male-detto; affronta un’oggettività proibita che infrange ogni tabù sconvolgendo il pensare comune.
Fotografia maledetta e non nasce dall’interesse e dallo studio che Germano Celant ha coltivato per un fotografare dalle polarità opposte, tra negativo e positivo, capace di produrre testimonianze visive del piacere come dell’orrore del vivere. Un transitare dal bello allo spregevole, dal perturbante al sereno dove queste contrapposizioni funzionano reciprocamente da alter ego, in una traversata che non cessa di misurarsi con gli estremi della fotografia contemporanea. Il volume è costituito da venticinque saggi, redatti dal 1974 al 2012, sui maggiori artefici d’immagini dell’inconsueto e dell’imprevedibile, dell’assurdo e del sublime del nostro tempo.
"Molte immagini possono essere rilette come un’aspirazione potenziale alla sopravvivenza, utili strumenti di difesa contro l’annientamento. Nella loro tragicità esse affermano la volontà di vivere e di abitare spazi e territori anche distrutti. Diventano la riappropriazione di una forza che sta in fondo alle viscere e testimonia della possibile reazione allo sterminio e alla violazione delle identità e dei corpi.”