“Come si fa a non ritornare? Bisogna perdersi.”
Fra le strade di Calcutta, afose e cariche di umanità, si annida una piccola comunità europea che ruota attorno alla fragile, incantevole, nevrotica Anne-Marie Stretter, moglie dell’ambasciatore francese. Si balla e le luci sono accese nell’ambasciata di Francia, in bilico tra il rispetto delle forme della buona società e il cedimento a una deriva sensuale che pare inevitabile sotto il peso della noia e dello spaesamento. Tra gli ospiti che subiscono il fascino di Anne-Marie c’è il viceconsole di Francia a Lahore, Jean-Marc de H., a Calcutta in attesa di trasferimento. Uomo inquietante, dotato di un fisico massiccio da cui esce una incongrua voce in falsetto, il viceconsole è mal visto ed evitato persino dai suoi pari. Si mormora che, come capitato prima di lui a molti europei in India, i suoi nervi abbiano ceduto, portandolo a uccidere qualcuno mentre sparava senza discrimine dal suo balcone verso i giardini di Lahore in cui trovavano rifugio lebbrosi e cani. Alle vite di questi personaggi si intreccia il viaggio senza speranza di una giovane mendicante incinta, solo all’apparenza tanto lontano da quella vita di vacui privilegi. In un romanzo allucinato e visionario, Marguerite Duras asseconda la sua predilezione per ciò che è acuto, estremo, intollerabile, coinvolgendo i protagonisti in contrapposizioni esasperate, tensioni psichiche protratte, atti che illuminano con un subitaneo bagliore lo scenario della vita.