È stata «’na jurnata maravigghiusa». La prima edizione del Premio Vigata, nato in coincidenza con il centenario di Andrea Camilleri. Il Premio Vigata a un siciliano di Avola, come me, Avola la stessa Sicilia barocca che fa da sfondo alle investigazioni del commissario Montalbano. Dire che il 12 settembre è stata una «giornata meravigliosa» può sembrare un banale (o furbo) gioco, ma basta virare verso il corrispondente siculo, «maravigghiusa», per rendere la trovata (e dunque il titolo del romanzo) ben più interessante: l’aggettivo al mio paese va inteso in senso etimologico con tutte le sue originarie valenze di sorpresa, di eccezionalità e di scoperta quasi metafisica. E ciò a cominciare dal paesaggio giallo a macchie verdi e a strisce azzurre in cui è immersa la Cantina Casa Grazia, che in accordo con il Fondo Camilleri ha promosso l’iniziativa. Per non dire della toponomastica, Strada Vicinale Spina Santa, in cui si trova l’azienda vinicola, un nome che sembra inventato dalla fantasia di Camilleri. L’idea di essere nella Sicilia migliore, quella che rinnova e produce cose miracolose respirando il passato ma con lo sguardo al futuro. Che (per fortuna) non è lo stesso futuro a cui pensavano cinquant’anni fa gli abitanti di Gela, tutti proiettati com’erano verso l’industria petrolifera delle raffinerie Eni, oggi bonificate e dismesse.
Non sarò uno dei tanti che affermano di essere stati amici, amicissimi del Maestro di Porto Empedocle. L’ho intervistato più volte, nel suo appartamento romano di via Asiago. Come tutti, l’ho visto, indifferente alle conseguenze sui polmoni, fumare una sigaretta dopo l’altra, perché prima di rispondere a una domanda tirava senza tregua, e arrivato al filtro, non spegneva finché non aveva acceso la nuova. Tra un tiro e l’altro, mi disse che non riusciva a inventare nulla: «Ho sempre bisogno di un punto di partenza nella storia o nella cronaca». Vigata è il risultato di questo tiro di sigaretta. Mi sorprese a Milano quando venne in Casa Manzoni a parlare dei Promessi sposi: era già cieco, ma diceva a memoria, come fosse un «cuntu» dell’infanzia, le varianti rispetto al Fermo e Lucia. «Da quando non ci vedo più, vedo le cose molto più chiaramente», la frase con cui Camilleri apriva il suo Tiresia, l’avrebbe potuto dire anche il passante ubiquo del mio romanzo. In omaggio al Maestro e al Premio Vigata, la aggiungerò tra le epigrafi della seconda edizione di Una giornata meravigliosa, della terza, della quarta eccetera.
Paolo Di Stefano
Una giornata meravigliosa di Paolo Di Stefano
Quante cose possono accadere in un giovedì qualunque della vita, in una giornata immersa nel caldo di un’estate che non vuole finire?Davanti agli occhi stralunati (e all’orecchio finissimo) di un misterioso passante invisibile, nel fluire vorticoso dei minuti e delle ore, incontria…
Paolo Di Stefano
Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …