Arriva in Italia Ayşegül Savaş. Gli antropologi si è conquistato il titolo di “miglior libro dell’anno” secondo il "New Yorker".
Scritto in inglese da Ayşegül Savaş, autrice cosmopolita – nata in Turchia, vissuta tra Inghilterra, Danimarca e Stati Uniti, attualmente residente a Parigi – è stato tradotto in dieci Paesi e consegnato al pubblico di lettori italiani da Feltrinelli Gramma nella delicata traduzione di Gioia Guerzoni.
La storia è quella di Manu e Asya, una giovane coppia che sulla spinta di un nomadismo generazionale contemporaneo incoraggiato dalla possibilità di vivere ovunque nel mondo grazie al lavoro freelance, emigra in una grande metropoli occidentale, lasciandosi tutto alle spalle: terra d’origine, famiglia, lingua e tradizioni.
Expat. Stranieri, a volte “strani” per gli altri, Manu e Asya sono estranei prima di tutto a loro stessi. Come due Antropologi, osservano la città che li circonda, gli usi e i costumi dei suoi abitanti, ne studiano i comportamenti e le abitudini nel tentativo di trarne delle regole condivise cui aderire e un modo di vivere al quale legare un qualche senso di appartenenza.
Trovata la nostra routine, ci eravamo affezionati. Mentre prepara la colazione, io faccio il caffè e mi siedo con lui a tavola, in pigiama. (…) Abbiamo pochi rituali, e nessuno che porti con sé il peso di una storia, perlomeno non la storia di tradizioni, paesi, religioni, quindi queste piccole cose sono importanti.
Manu lavora in un ente non-profit, Asya è una documentarista. Con la sua videocamera cattura e indaga la vita degli altri con la stessa meticolosità con cui scandaglia e registra la propria, raccontando in prima persona le tappe di questa ricerca. Attraverso lo sguardo di Asya il lettore si trasforma in spettatore e il romanzo diventa esso stesso un documentario fatto di tanti piccoli e delicati “momenti di niente che racchiudono tutto”, con un voyeurismo del quotidiano che attinge alla letteratura delle piccole cose di Natalia Ginzburg e ricorda il cinema della Nouvelle Vague francese.
La città è una, ma potrebbe essere nessuna e centomila. A connotarla sono i tratti di una metropoli qualunque; Londra, Berlino, Parigi. Ma è una città invisibile e senza nome, in cui ognuno può riconoscervi qualcosa. Un gomitolo di vite e di vie in cui lavorare, riposare, intrattenersi, esercitare diversi modi di stare al mondo.
Qui Manu e Asya dipanano la trama della loro particolare esistenza inseguendo la chimera della stabilità. L’inquietudine della coppia è quella di un’intera generazione che trova il suo correlativo oggettivo nella ricerca della casa: unico spazio sicuro dove poter ritrovare se stessi e quel senso di appartenenza ormai perduto.
“Che cosa significa oggi appartenere a un posto in un mondo in cui si è perso ogni punto di riferimento?”, questa la domanda esistenziale e generazionale alla quale Manu e Asya sono chiamati a rispondere. E la risposta è nella “ricerca”: la ricerca di una casa, di un’identità, di una routine, di regole che stabiliscano un confine nel quale trovare pace. Ma anche la ricerca del lento e piacevole consumarsi di una giornata, e di qualcuno con cui condividerla.
Adoro consumare le giornate cazzeggiando, dice Ravi.
È quello che voglio filmare. Il lento e piacevole consumarsi di una giornata
Sulla scia letteraria delle autrici di successo del mondo anglosassone degli ultimi anni come Sally Rooney, Naoise Dolan, Deborah Levy, Ayşegül Savaş spinge la penna ancora più in là, oltre i confini particolari, per parlare – in una lingua che non è la sua lingua madre – a un pubblico ancora più vasto e universale, quello di una generazione di giovani in ricerca della propria identità e che trovano nella letteratura la loro dimora più riconoscibile.
Come per Manu e Asya la lingua della loro intimità è l’unica terra franca possibile da abitare e la casa il luogo sicuro nel quale riconoscersi, così per la nostra generazione di spatriati la letteratura diventa il luogo privilegiato dove tornare a ricucire i frammenti della propria realtà. Perché è questo che fa la scrittura.
DICONO DEL LIBRO
«Il romanzo, pur nella sua brevità, è complesso, una danza in equilibro sul conflitto: stabilità o fluidità?» Mario Desiati, "Robinson, La Repubblica"
«Quella de Gli antropologi è la trama lineare, minimalista, del perfetto romanzo della Generazione Millennial.» - Laura Pezzino, "Vanity Fair"
«Fatto di piccoli scorci e gesti minori Gli antropologi è attraversato in realtà da domande enormi, e attualissime in un mondo lacerato fra la post-globalizzazione e il ritorno degli identitarismi: cosa significa appartenere a un posto? E questa appartenenza è realmente necessaria, o sostituibile con quella più intima e profonda delle amicizie, della professione e dell’amore?» - Vincenzo Latronico, "La Stampa"
«In tanti ci si ritroveranno, nelle piccole cose quotidiane, in certi dialoghi, in certe ansie.» - Isabella Fava, "Style Magazine, Corriere della Sera"
«Savaş racconta la vita dei suoi protagonisti con uno stupore tenero e nuovo, lo stesso con cui loro guardano gli abitanti della città in cui vivono e che, con una giravolta prospettica, definiscono “stranieri”.» Arianna Montanari, "Rivista Studio"
Gli antropologi di Ayşegül Savaş
Asya e Manu hanno lasciato i loro paesi e le famiglie d’origine e raggiunto una grande città. Una condizione oggi comune alla gioventù, alla ricerca di un proprio posto nel mondo e attratta dall’idea di ridefinire liberamente la propria esistenza, senza gli usi e i costumi del…