Gianni Riotta: Divi di Hollywood a fianco delle nonne per la pace. Le Mille Americhe in marcia sulla Casa Bianca

19 Gennaio 2003
C'era una volta la faccia triste dell'America, il tenente Calley che incendiava le capanne vietnamite di paglia con l'accendino Zippo. Contro marciava quella che Nanda Pivano battezzò "l'altra America". Il poeta beat Allen Ginsberg che aveva visto "le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia", Joan Baez e Bob Dylan, "la risposta, amico, soffia nel vento", Martin Luther King "Io ho un sogno". A Washington ieri, in un gelo sopportabile solo se scaldati dagli ideali, la guerra minacciata dal presidente George W. Bush ha visto contro "le altre Americhe", mille, non più una. C'era Billy Zargatti, veterano della Seconda guerra mondiale che ha votato Bush perché "non credo alle tasse", ma che non si "aspettava una guerra senza provocazione". C'erano le parrocchiane del Sacro Cuore nel New Mexico che pregano con le parole di Giovanni Paolo II affiancate dai ragazzi che non recitano il Rosario ma le litanie del rapper Eminem: "Vogliamo reintrodurre la leva? Vogliamo finire obiettori nascosti in Canada come nel 1968?". La marcia si raccoglie davanti al Congresso, il cielo è terso, il fiato si condensa e i capannelli di giacche a vento e cappelli da sci sono stretti stretti. I ricchi hanno passamontagna di pile comprati in Colorado, i militanti poveri berretti col pon pon fresco di ferri da calza della mamma in Indiana. Si marcia giù per Independence Avenue e Pennsylvania Avenue, dove al 1600 sorge la Casa Bianca. Traguardo il Navy Yard, base della Marina. Là "gli ispettori del popolo" chiederanno, invano, di controllare "le armi di sterminio di massa degli americani". Le kefiah dei duri, le urla degli studenti egiziani che imprecano contro la schedatura di massa richiesta dal governo dopo l'11 settembre agli immigranti dai "Paesi a rischio", sono una terza, diversa, America. Quella che ha fatto da madrina al "polo no global di Seattle", non morderebbe un panino McDonald's neppure morta e detesta le Nike, Israele, la Banca Mondiale e gli autori classici, "Europei Bianchi Morti", studiati a scuola preferendo gli opuscoli di propaganda del linguista Noam Chomsky e il tomo "Impero" di Toni Negri. Dal megafono spicca cupa la voce di Ramsey Clark, l'ex ministro del presidente Johnson che oggi difende Saddam Hussein: "Usa terroristi!". Gli attori di "Vincere senza guerra", Jessica Lange, Susan Sarandon, Martin Sheen e Matt Damon la pensano diversamente: "Detestiamo Saddam e la sua oppressione su iracheni e curdi, ma non crediamo che la guerra migliorerà la situazione". In una delle 32 manifestazioni di solidarietà in giro per il mondo, a Mosca, l'intesa stalinisti-nazionalisti rilancia "Usa terroristi" e a Damasco, con il permesso del governo, i dimostranti scandiscono "Nostro amato Saddam bombarda per noi Tel Aviv". Alla Casa Bianca, il flemmatico portavoce Ari Fleischer commenta: "Il presidente apprezza che in America sia possibile a tutti esprimere la propria opinione, un'opportunità che manca in Iraq". La macchina del consenso repubblicano sa che le inquadrature di dimostranti in kefiah tra i prati di Washington, resi dal gelo duri come cemento, accoppiate a quelle dei siriani pro Saddam cancellano la simpatia per il movimento pacifista nell'America media. Se però i cortei, in corso anche a San Francisco e in altre città, superano gli slogan paleolitici di Clark "Usa imperialisti!", e il cliché dei ragazzini con i capelli rasta e le occhiaie da cinemino d'essai, se passa il sorriso al profumo di torta di mele delle "Nonne per la pace", "Casalinghe per la pace", "Metalmeccanici per la pace", allora i democratici che, Hillary Clinton in testa, hanno appoggiato Bush nella sua "guerra preventiva", dovranno preoccuparsi della frattura fra gli elettori. Il vescovo cattolico di Detroit Thomas J. Gumbleton ha annunciato la sua partecipazione al corteo, con i pullman del Michigan. Canuto, occhiali da parroco, sorridente nel clergyman, il vescovo Gumbleton invoca dal pulpito della cattedrale "Credete nella Pax Americana?". "No, no", rispondono raccolti i fedeli. "Credete invece nella Pax Christi, come predica il nostro papa Giovanni Paolo II?". "Sì, sì", risponde il coro dei credenti. "La pace americana è malvagia - si accalora il vescovo - leggete gli articoli di Arundhati Roy al sito della Nbc, dal 1945 abbiamo aggredito la Cina, Corea, Guatemala, Indonesia, Cuba, Zaire, Peru...". la lista delle malefatte americane passa dal Nicaragua, alla Bosnia e finisce in Afghanistan e Iraq. Il vescovo non dice che gli americani furono accolti dai musulmani bosniaci come i liberatori dalle sevizie di Milosevic, ma poco importa. Se voci rispettate persuadono i cattolici, i milioni di ispanici, i moderati antiguerra del ceto medio, che la politica estera di Bush è "malvagia", allora il movimento da colorata espressione di dissenso diventerà realtà politica, nella già aperta e già ferocissima campagna elettorale del 2004.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …