Gianni Riotta: L’atlante del dopo

15 Aprile 2003
Il concetto è adottato dagli uomini chiave dell'amministrazione Usa e popolarizzato dall’ex capo della Cia James Woolsey, probabile ministro dell'Informazione a Bagdad. Ieri il Comando angloamericano ha parlato di "svolta nella guerra" e il premier inglese Tony Blair di "inizio della fine". Le fatiche delle armi cedono alle fatiche della pace ed è il momento di capire se Cohen ha ragione. Stiamo combattendo la Quarta guerra mondiale o non piuttosto la Prima guerra globale? L'opinione pubblica stenta ad accettare la nuova realtà, dove ogni illusione di vivere come prima dell'attacco all'Iraq si rivela falsa e pericolosa. Tanti segnalano, giustamente, il risentimento che oppone la Casa Bianca a Chirac, Schröder e Putin, il malumore dei commentatori arabi, le fratture all'Onu e nell’Unione Europea. Ma assai più gravi sono i guasti che la Prima guerra globale sta facendo nel commercio, nella cooperazione, negli scambi internazionali. Si discuteva, a Doha e in altre sedi, come ridurre tariffe e sussidi, compresi quei formidabili 300 miliardi di euro all'anno che i Paesi ricchi erigono a proteggere le proprie agricolture, impoverendo il Terzo mondo. Ora il gelo. Gli Usa tutelano l'acciaio, gli europei l'agroalimentare. Il dopoguerra blocca la trattativa, Banca Mondiale e Fondo Monetario diventano arena di dispute puerili.
Gli Stati Uniti non attaccheranno a breve, crediamo, né la Siria né l'Iran. Vogliono però che Damasco e Teheran accettino il nuovo Medio Oriente, tolleranza zero per il terrorismo di Stato e programmi nucleari sottobanco. Dentro l'amministrazione Bush, ammette il democratico Zbigniew Brzezinski, è la destra di Rumsfeld ad avere ora iniziativa e strategia, con il moderato Powell sulla difensiva.
Gli europei devono uscire, subito, dal muro contro muro. Il quotidiano parigino Le Monde teme la guerra civile fra "l’Europa americana e l'Europa europea": unico antidoto è un'Europa globale, capace di riaprire il dialogo atlantico, rinunciando agli egoismi per combattere la povertà in un atlante imprevedibile solo un anno fa, dove la Cina conta più della Russia, e la Polonia, per la prima volta dal 1939, può alzare la voce.
E' ora di finirla con le ripicche. Bush pensa di pernottare in Svizzera, per snobbare Chirac al G8 di giugno in Francia. All'Onu la Libia difende il Sudan, accusato di praticare la schiavitù, e Parigi chiude un occhio, in chiave antiamericana. Errori, di stile e politica. Gli Stati Uniti stanno decidendo se investire da soli i frutti di una guerra combattuta con Blair solo alleato. Tocca agli europei, riconosciuta la vittoria americana, non chiudersi nell'astio e convincere Washington che, senza Onu e Nato, i lunghi anni di ricostruzione saranno aspri. Unica alternativa alla guerra, sia la Quarta mondiale o la Prima globale, resta il tanto deprecato mondo delle intese, dei trattati e dei commerci, del negoziato e della cultura. Se il dialogo tace, le armi hanno l'ultima parola.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …