Giuseppe Montesano: Napoli: nauseati e abbandonati

12 Maggio 2003
"Ma che sta succedendo?". "Sono i camion della monnezza". "A quest’ora? E dove vanno?". "Don Luigì, ma voi allora non sapete niente!". "Io dormivo…". "Don Luigì, quelli vanno a buttare l’immondizia nel cratere". "Dentro al Vesuvio? Ma sono pazzi". "Pazzi o no, questo è il fatto. Dice che quello è un inceneritore naturale, economico e pure ecologico. E che volete di più?".
"Non è possibile! Io sto sognando! Per piacere, ditemi che sto sognando, svegliatemi!" E ti sveglio, immaginario don Luigi, ti sveglio: ma per farti precipitare in qualcosa di molto peggiore di un sogno, in questa realtà che sta andando oltre ogni fantasia.
No, non posso scrivere un racconto su quello che sta succedendo, perché ormai la realtà si avvia tranquilla a superare ogni immaginazione: la bomba ecologica del problema rifiuti è sul punto di esplodere, o forse è già esplosa e ci illudiamo di poterla disinnescare. Queste montagne di rifiuti in mezzo alle quali ci muoviamo rassegnati, in compagnia di mosche mutanti e zoccole indistruttibili suonano come una condanna. Deve davvero essere questo il simbolo del meridione? È come se un beffardo prestigiatore avesse trasformato un vecchio luogo comune in una realtà palpabile, e quella che era un’immagine folcloristica quasi divertente fosse diventata quello che era sempre stata: un incubo. È come se di colpo scoprissimo che la sola cosa che siamo capaci di produrre sia questo ammasso verminoso di plastica morta, di panini sgozzati, di cartacce unte, di televisori sbudellati, di oggetti sfigurati. Fissiamo impotenti questa oscena cantina di una civiltà incapace di pensare al futuro, innamorata del consumare e del distruggere, e diciamo sommessamente: è possibile? Ma più osceno delle montagne di rifiuti, delle scuole costrette a chiudere, dei parchi usati come discariche, delle scorie radioattive seppellite sotto i nostri tinelli, delle falde sotterranee inquinate dai pesticidi, è il balletto eterno della politica. È uno spettacolo di fronte al quale un cittadino può provare solo nausea: tutti scaricano su tutti le responsabilità; si cerca di usare un problema comune per dividersi su meschine questioni di parte; nelle dichiarazioni di troppi si legge chiaramente solo il calcolo di quanti voti si avranno o si perderanno dicendo una certa cosa o il suo esatto contrario. Ma davvero da queste parti le parole hanno perso qualsiasi significato certo, e possono significare tutto a seconda degli opportunismi?
Eppure io non posso rassegnarmi a crederlo. E penso che "sporco" sia ancora il contrario di "pulito", che "parco" non sia diventato sinonimo di "discarica", che "incompetente" non abbia lo stesso significato di "amministratore". No, il cittadino "normale", quello tanto amato dalle statistiche e dai politici, quello che maledice lo Stato ma eroicamente paga le tasse, quello che manda i figli alla scuola pubblica scassata, quello che tira la carretta, quello che cammina chilometri cercando dove buttare le pile, quello che a casa divide in migliaia di sacchetti i "residui umidi" da quelli "solidi", quello che vorrebbe davvero poter essere normale, quello la differenza la conosce benissimo: e a quel cittadino, a dirla con la massima semplicità, non gliene frega niente dei retroscena o avanscena dello scontro Fitto-Iervolino o Iervolino-Fitto o Pinco-Pallino. Lui vive a Casoria, a Terzigno, a Torre Annunziata, a Ercolano, a Giugliano; lui si alza presto, si imbottiglia nel traffico, mangia schifezze; lui ha la casa invasa da strani insetti, di notte dorme male per la puzza, eppure al mattino deve andare lo stesso a lavorare. E da quelli che amministrano la sua inabitabile periferia, la sua città, la sua regione, il suo Stato, non vuole niente di speciale, ma solo che anche loro facciano ciò per cui sono pagati infinitamente meglio di lui.
Chiede troppo? È un illuso? Pensarlo vorrebbe dire rinunciare per sempre a un’idea almeno minima di società civile possibile. Quello che ancora chiamiamo con un eufemismo "il problema dei rifiuti" è una immensa bomba ad orologeria, e chiunque si permetta di giocarci è un irresponsabile. Il primato della politica demagogica e della burocrazia incapace che ingrassano a spese dei bisogni delle persone è dichiarato morente da molto tempo, ma se per caso così non fosse bisognerebbe decidersi, e aiutarlo finalmente a morire. Ciò di cui abbiamo bisogno è qualcosa di completamente diverso, a chiacchiere promesso da tutti, nei fatti tradito da tutti: quello che ci serve è il primato del cittadino, e nient’altro.

Giuseppe Montesano

Giuseppe Montesano è nato a Napoli. Ha pubblicato due romanzi: A capofitto e Nel corpo di Napoli (Premio Napoli, Superpremio Vittorini, Premio La Torre, Premio Scommesse sul Futuro, finalista Premio …