Gianni Riotta: Ora solo la nascita di un Iraq libero può legittimare il conflitto

30 Maggio 2003
New York - Le armi di distruzione di massa colpiscono, per ora, la coalizione angloamericana che ha rovesciato Saddam. Dopo aver fatto da spunto, con altri fattori, all'attacco a Bagdad e alla requisitoria all'Onu, adesso non si trovano e fomentano polemiche. Il ministro della Difesa americano, Donald Rumsfeld, annota laconico agli esperti del Council on foreign relations di New York: "E' possibile che il regime se ne sia disfatto prima del conflitto". Rumsfeld è pragmatico, i suoi soldati sono solidamente insediati in Iraq e non è il caso di andar troppo per il sottile.
Per il principale alleato dell'impresa, il primo ministro Tony Blair, la ricerca delle armi non è così banale. Blair ne ha fatto davanti ad una recalcitrante opinione pubblica una campagna e vedersi smentito non piace, mentre a Bassora dice ai suoi guerrieri "nel futuro la vostra offensiva sarà ricordata come uno dei momenti cruciali del secolo". Se Saddam aveva distrutto le armi, chimiche e biologiche, che tante fonti, compresa l'Onu, sospettavano avesse, a che pro attaccare il suo Paese? Dall'Inghilterra il campo pacifista, azzittito dopo la caduta di Bagdad, rispolvera l'argomento etico: "Obiettivo dell'Onu e degli Usa era disarmare Saddam? Bene, se Rumsfeld ammette adesso che le armi non c'erano, la verità è che le armi non c'erano più da un pezzo. La questione è decisiva, perché la guerra è stata venduta al Parlamento e al popolo inglese sulla base della minaccia di Saddam", dice Robin Cook ex ministro e leader dell'House of Commons. Con lui l'ex attrice Glenda Jackson, oggi parlamentare, che adotta i toni perentori del suo personaggio prediletto, Elisabetta Regina: "La guerra dunque è stata combattuta senza basi morali e senza ragioni".
Blair, come il presidente americano George W. Bush, continua a dirsi fiducioso che le armi segrete si troveranno, e un paio di laboratori mobili scoperti negli ultimi giorni potrebbero dargli ragione: "Anziché fare tante speculazioni, perché non aspettare che finiscano gli interrogatori con gli scienziati iracheni?", ha chiesto il premier britannico.
La risposta, e Blair lo sa benissimo, è tutta politica. Per chi ha sostenuto la guerra le fosse comuni, con migliaia di morti giustiziati innocenti, bastano a dare legittimità all'attacco, secondo la morale "anche un moschetto può essere arma di sterminio di massa". Ma il fronte ostile a Bush e a Blair accusa i leader della coalizione angloamericana di ipocrisia: le armi non c'erano e hanno fatto da cortina fumogena all'invasione.
Il 1° di giugno a Evian, Bush e Blair ritrovano i loro antagonisti, il presidente francese Chirac, il premier russo Putin, il cancelliere tedesco Schröder. La lotta è per il manto morale, liberatori dell'Iraq contro i difensori dell'istituzione mondiale Onu. Arbitra l'opinione pubblica mondiale e i colpi bassi non mancheranno. La realtà è meno ricca di colpi di scena. Saddam stava lavorando da anni a un suo progetto per armi di sterminio di massa, e la reticenza, di cui gli stessi ispettori Onu lo accusarono infine, non è prova di innocenza.
Gli si chiedeva di documentare la distruzione di precise quantità di armi chimiche e biologiche, ma non diede mai un certificato netto. Si limitò a generici dinieghi e a un dossier scalcinato. Le abbia distrutte prima della guerra, o nascoste bene, di certo Saddam ha scoccato la sua arma estrema, testimonianza di una prodigiosa capacità di resistenza. Come le gang dei detenuti comuni, ladri e grassatori, liberati alla vigilia della guerra e protagonisti dei saccheggi e del disordine che tanta sfiducia hanno seminato dalla vittoria in poi. Le polemiche continueranno. Il vice di Rumsfeld, Paul Wolfowitz, in una intervista al mensile "Vanity Fair" conferma quel che avevamo anticipato ai lettori, dal volume dell'esperto Cia Ken Pollak: "Gli americani hanno fatto la guerra per ripristinare la base in Medio Oriente dei due pilastri, dopo il raffreddamento con l'Arabia Saudita e la perdita, ormai vent'anni fa, dell'Iran. Gli inglesi invece per non isolare Washington e ottenere in cambio la ripresa del negoziato in Medio Oriente. La partita vera, fuori dalla propaganda che da qua al G-8 si infittirà, è sul futuro dell'Iraq. Se nasce un Paese libero da una feroce dittatura e dedito non più alle guerre d'invasione ma allo sviluppo, presto il conflitto avrà una sua legittimità. Se il caos a Bagdad e dintorni continua, e si radica, presto non si parlerà che di armi non trovate. La storia sa dare legittimità a posteriori ai vincitori, a patto che se la sappiano meritare, e finora gli alleati sono stati più bravi in guerra che in pace.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …