Giuseppe Montesano: Ballard e Vonnegut, profeti di penna

17 Luglio 2003
«Era passato qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell'immenso condominio»: è così che si apre Il condominio di James G. Ballard - tradotto da Paolo Lagorio - e bisogna riconoscere che nel romanzo il dottor Laing di «singolari avvenimenti» su cui riflettere ne attraversa molti. In un immenso edificio di quaranta piani, autosufficiente al punto da includere una scuola e un supermarket, si scatena una furiosa regressione al primitivo che fa saltare per aria in pochi giorni la crosta sottile della civiltà e instaura nel condominio una volta ovattatamene di lusso una sorta di nevrotica legge della giungla. Per una serie di black out elettrici nel condominio tutto comincia a degradarsi: l'aria condizionata soffia polvere, i cibi marciscono e ammuffiscono nelle tombe dei frigoriferi, gli ascensori funzionanti diventano preda delle lotte tra i condomini. Ben presto la guerra di tutti contro tutti si mescola al conflitto di classe, e si scatenano sottoguerre tra proprietari dei piani alti e dei piani bassi, con agguati reciproci e regolamenti di conti. L'immondizia si accumula dovunque, scatenate feste e orge si trascinano tutta la notte, per nutrirsi si arriva fino a ammazzare i cani e a arrostirli sui mobili di casa fatti a pezzi, gli uomini tornano maschi che si dipingono ritualmente il corpo e le donne regrediscono a femmine che si offrono al più forte, e la violenza diventa insieme la sola regola e il più profondo godimento. La vera forza del romanzo di Ballard consiste nel suo riuscire a sospendere l'incredulità del lettore, e nel fargli sentire con un brivido che anche il suo condominio a Fuorigrotta o a Milano con le sue piccole liti potrebbe trasformarsi in un incubo: perché la fantascienza di Ballard non è fatta di pianeti di plastica e alieni verdastri, ma di rapporti sociali alienati e di una umanità sull'orlo della catastrofe mentale. Ed è forse un segnale che in questi ultimi tempi si siano concentrate molte uscite di autori importanti una volta marchiati con sufficienza come «scittori di fantascienza», e oggi riconoscibili senza dubbi tra i massimi realisti del nostro sgangherato presente: J.G. Ballard da Feltrinelli, P.K. Dick da Fanucci finalmente in una collana non di genere, Vonnegut da Eleuthera e ancora da Feltrinelli con Ghiaccio-nove e Mattatoio n.5. Tutti sono scrittori di confine, con alle spalle la tradizione di Swift come di Wells, e davanti l'incerto crepuscolo dove tutto è possibile nel quale siamo impaludati tutti. In Mattatoio n.5 si legge: «Un giorno Rosewater disse a Billy una cosa interessante su un libro che non era di fantascienza. Disse che tutto quello che c'era da sapere sulla vita si poteva trovare nei Fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij. ”Ma non basta più”, disse Rosewater.» In quel fulmineo «non basta più» Vonnegut riassumeva quarant'anni fa una questione che ci riguarda ancora da vicino: la grande letteratura del passato deve essere reinventata e contaminata, e la sua tradizione manomessa con passione e esattezza, perché l'immagine del mondo in cui siamo vissuti fino a ieri è stata frantumata dalla feroce ironia del «nuovo», e la realtà appare deformata non più solo nella materia esterna ma fin dentro i meandri della psiche. E quanti se ne sono accorti? Come se niente fosse mai accaduto e vivessimo nel migliore dei mondi possibili, masse di scrittori narcisetti continuano a sfornare libri morti e sepolti prima ancora di vagire: romanzi-polpettone sui buoni sentimenti e le belle storie del tempo che fu; finti noir o gialli che raccontano una criminalità consolatoria estinta da secoli; storielle intimiste che piagnucolano ancora e ancora sulla fine dell'adolescenza asciugandosi di nascosto il moccio: eccetera eccetera eccetera. Eppure siamo già nel condominio platenario di J.G. Ballard, eppure ci sono già i padroni mediatici che ipnotizzano le masse in P.K. Dick, e il bombardamento di Dresda evocato da Vonnegut è stato replicato con successo in mediorente e fra poco chissà dove. E non è forse nella nuova terra di nessuno dove bene e male sono sempre più difficili da distinguere che si aggirano il miglior Huellebecq, lo straordinario J.M. Coetzee, il David Saunders di Pastoralia, Coreghessan Boyle o il Means di Episodi incendiari assortiti? Siamo sull'orlo della rottura di un ordine durato secoli, ma per descriverlo è necessario vederne le crepe, e sobbalzare sentendo nella nostra carne i suoi scricchiolii. Non sarà con la piccola letteratura furbetta che conosceremo il presente, ma mettendo a scontrare stili e generi e idee le più disparate e disperate possibili, con un solo obbligo assoluto: mostrare quello che c'è nella realtà. Ma questo vorrebbe dire abbandonare l'oleoso e narcisistico semplicismo delle buone piccole cose, riconoscere che la tradizione letteraria è l'amante perpetua degli scrittori ma va sempre riletta e tradita nel furore del qui e ora, e soprattutto che tocca fornirsi di una visione meno banale del mondo interconnesso e contraddittorio dal quale siamo vissuti. Un secolo fa nel ciclo di «Ubu» Alfred Jarry immaginò che un idiota si sarebbe impadronito del dominio semplicemente abbandonandosi alla sua immensa meschinità di piccolo borghese che racconta barzellette volgari, che uomini liberi sarebbero diventati schiavi felici purché qualcuno si preoccupasse di non fargli avere troppi pensieri in testa e che la violenza del potere sarebbe stata mascherata dal suo stesso trionfante eccesso: esagerò Alfred Jarry e esagerano James G. Ballard e gli altri? Addentriamoci nelle rovine ben ordinate dell'Occidente a occhi aperti, lasciamo perdere le ipocrite consolazioni che ci offrono come a condannati a morte, e forse ci accorgeremo che in tempi come questi solo l’esagerazione è vera.

Il condominio di J.G. Ballard

Un elegante condominio in una zona residenziale, costruito secondo le più avanzate tecnologie, è in grado di garantire l'isolamento ai suoi residenti ma si dimostrerà incapace di difenderli. Il grattacielo londinese di vetro e cemento, alto quaranta piani e dotato di mille appartamenti, è il teatro…