Giuseppe Montesano: La magia del mondo in un Atlante. Un racconto

16 Settembre 2003
Ho cercato dappertutto, ma non li ho trovati: dove avrò ficcato i grossi volumi squinternati dal troppo uso dell’atlante universale Imago Mundi che avevo da bambino? Ma mi basta chiudere gli occhi per qualche istante, ed è come se li avessi ancora qui davanti. Su quei libri passavo letteralmente ore, abbagliato dalle tavole plastificate a colori sulle quali erano disegnate carte geografiche decorate da disegni di selvaggi con scudi di legno e piume, di canguri sornioni e di eschimesi vicino ai loro igloo. Il mondo entrava negli occhi e nella mente del bambino in tutta la sua varietà, lasciandolo sbalordito e felice. Voltavo col cuore che mi batteva le grandi pagine piene di fotografie in bianco e nero, e passavo dalla neve che addormentava Mosca come in un perpetuo Natale di colbacchi e slitte, agli uomini e donne e bambini seminudi con collane di osso al collo in climi di primavera eterna: e cosa c’era in comune tra le colonne del Partenone di un volume e i templi giapponesi di legno di un altro volume? Non mi stancavo mai di sfogliare e confrontare, di scoprire che in Brasile c’erano i diamanti e in Alaska e in Siberia l'oro, che in Messico c'era l’argento dei romanzi e si coltivava il caffè, che il petrolio veniva dall’Oriente e il pepe dalla Cayenna.
Ero innamorato del mondo e di quello che c'era in esso: cacciatori dagli occhi obliqui vestiti di pellicce, castelli scintillanti della Loira, infinite Muraglie cinesi perse nei deserti, Tibet esplorati da pochi audaci e popolati da silenzi e misteri, Afriche nere e foreste impenetrabili dove si poteva essere uccisi con una freccia intinta nel curaro o spolpati vivi dai piranha. E poi i nomi magici: Pietroburgo, Città del Capo, Calcutta, il Borneo, Parigi, Sumatra, Londra, Pechino, Il Cairo, la Patagonia… Erano gli stessi nomi magici dei romanzi di Salgari e Verne e Dumas che divoravo, e i nomi di luoghi e città esercitavano su di me un potere immenso.
In quelle ore di estasi, dimenticando le pareti della cucina e vedendo sorgere dai vetri appannati della finestra il Sahara e la Pampa, imparavo inconsapevolmente la geografia? Sì, certo, ma oggi so che imparavo soprattutto ad aprire gli occhi e gli altri sensi di fronte alla traboccante diversità che abitava il mondo. L'altrove esotico con lo choc che gli provocava spingeva il bambino e poi il ragazzo incuriosito e quasi spaventato a cercare di conoscere, a chiedersi il perché delle differenze, ad accorgersi che il mondo non finiva affatto sulla porta di casa: fuori c'erano civiltà millenarie e popoli che parlavano lingue diverse e animali dalle forme bizzarre, e tutto questo era meraviglioso.
Ma la sorpresa più grande era forse che gli atlanti universali, le enciclopedie e le carte geografiche comunicavano la conoscenza attraverso il piacere, in quella attenzione eccitata e un po' infantile che è forse la sola vera chiave per capire le cose: e mi accorgo che ancora oggi gli atlanti, i libri dei viaggiatori e persino il mappamondo da tavolo che c'è in camera di mia figlia non hanno smesso di esercitare su di me il fascino profondo dell'altrove. Ma poi, di fronte al turismo mordi e fuggi che devasta i luoghi rendendoli tutti uguali, mi chiedo: c'è ancora un altrove da percorrere? Si può sfuggire alla noia televisiva di cercare in Patagonia o a Montmartre solo ciò che già si ha in mente? Si può evitare di vedere il mondo solo come una serie di cartoline banali e deludenti, di fotografarlo per l'album da mostrare agli amici e di trovarsi dopo ogni viaggio con le mani piene di souvenir fabbricati sotto casa e con la testa vuota di emozioni e idee nuove?
E so che è possibile sfuggire al dejà vu, ma solo attraverso un'arte del conoscere attraverso i sensi, un'arte che si impara come si impara a sentire e capire un buon vino: l'arte della curiosità. È lei che ci fa vagabondare da bambini tra le immagini di atlanti e enciclopedie, e ci mostra da adulti che nel mondo ci sono gli altri, i diversi da noi; è lei che ci concede di fare della vita una continua scoperta, di vedere le cose nella loro novità e di non affogare nella noia della ripetizione; ed è sempre lei che ci spinge alla passione per le differenze e agli incroci tra le culture. E che vita povera è quella che non conosce l'arte della curiosità! Prima che il mondo venga uniformato in un solo grande supermarket, prima che la plastica delle merci tutte uguali si stenda su tutto e prima che le idee congelate ci derubino delle idee fresche e giovani, concediamo ai nostri bambini in carne e ossa e a quello segreto che abita ancora in noi la festa dei viaggi sentimentali: sono probabilmente i soli che ci portano davvero, a tuffo tra cartine e atlanti e sogni, via dalle nostre miserabili prigioni di frasi fatte e sensazioni stantie, verso l'inesauribile realtà, dentro la ricchezza del mondo.

Giuseppe Montesano

Giuseppe Montesano è nato a Napoli. Ha pubblicato due romanzi: A capofitto e Nel corpo di Napoli (Premio Napoli, Superpremio Vittorini, Premio La Torre, Premio Scommesse sul Futuro, finalista Premio …