Provaci ancora Kurt. Vonnegut!

02 Ottobre 2003
Vonnegut è uno di quei pedicelli (parola che piacerebbe all’ottantunenne scrittore) che tra la fine degli anni Cinquanta e i Sessanta presero a disturbare la superficie della letteratura e della società americana rivelando come le cose non fossero state così pacificate in quei silenziosi, consensuali, consumistici fifties di cui Doris Day era stata massima icona domestica. Assieme a lui esplodeva un esantema di altri scrittori (e libri) fastidiosi. William Burroughs e Il pasto nudo (1959), Joseph Heller e Comma 22 (1961), Thomas Pynchon e V (1963), Donald Barthelme e Ritorna, Dr. Caligari (1964), Richard Brautigan e Pesca alla trota in America (1967). Autori che rompevano un patto di alleanza e fiducia con i lettori tradizionali e ne stabilivano uno con lettori più giovani, inquieti, avventurosi. Narratori che denunciavano alla allibita-indifferente America di Doris Day un divorzio in corso tra entità quali: progresso e razionalità, storia patria e letteratura, letteratura e Reader’s Digest, America e americani. 
In particolare, i romanzi di Vonnegut – a cominciare da quel primo, neoluddista Player Piano del 1952 – mettevano in dubbio la storia ufficiale e approvata del mondo (dell’occidente, dell’uomo bianco, dell’America), riscrivendone le narrazioni più classiche e consacrate in termini parodistici, assurdi. Capovolgendo l’idea di progresso in regresso, di utopia in distopia, di «guerra buona americana» in guerra comunque fetente-surreale-pazza-bestiale-macellaia-orrenda. Esemplare, per quanto riguarda l’utopia negativa, sarà il romanzo del 1985 Galapagos, in cui Vonnegut – rifacendosi a una tradizione non certo americana ma europea: Swift, Wells, Zamjàtin, Huxley, Orwell – evocherà un’umanità futura costituita da «uomini-e-donne-foca» con pinne e zero cervello. Massimo esempio invece del genere demenziale-guerresco è il presente Mattatoio n.5 (1969), capolavoro e pietra miliare della letteratura antimilitarista. In esso l’io narrante – Vonnegut stesso – intenzionato a scrivere un libro sul terribile bombardamento di Dresda del 1945, scopre che è impossibile per troppo orrore. Che Dresda è semplicemente indicibile. Che non c’è niente di intelligente da dire su un massacro. Per cui decide di raccontare invece la vicenda fantastica del suo alter ego, Billy Pilgrim. Il quale, tornato da Dresda, è rapito dagli extraterrestri Tralfamadorians ed esposto (nudo) in uno zoo. Riuscendo però a proseguire la normale esistenza sulla terra grazie al fatto che un anno su Tralfamadore equivale ad appena pochi istanti terrestri. 
Così, con procedimento tipico in Vonnegut, la Storia si mescola e confonde con la fantascienza. E il racconto, per parte sua, si sminuzza in una serie di schegge tematico-temporali di grande vivacità (e comicità), anche se con una qualche difficoltà di lettura. Il sottotitolo del libro, La crociata dei bambini, è un altro ammiccamento antimilitarista, alludendo allo stato di infantile incoscienza dei soldati che, in ogni guerra, vengono placidamente spediti ad ammazzarsi tra di loro. 
Anche in Ghiaccio nove (1963) Vonnegut ricorre all’espediente del libro nel libro. L’io narrante sta scrivendo un volume nel quale si propone di appurare cosa stesse facendo il padre della bomba atomica – il fittizio, stralunatissimo Felix Hoenikker – il giorno in cui la sua creatura inceneriva Hiroshima. A tal fine egli entra in contatto col figlio del defunto genio, il nano Newton (detto anche Newt: tritone) e quindi, sull’isola caraibica di San Lorenzo, coi suoi fratelli Frank (ex organizzatore di combattimenti tra formiche rosse e cervi volanti) e la gigantessa Angela (mt 1.90). Sulla stramba isola – ove si svolgono i due terzi del romanzo – scoprirà dapprima la religione di Bokonon (suo primo principio: «Tutte le verità che sto per dirvi sono spudorate menzogne»). E infine di scrivere non un libro sulla storica esplosione del 1945, ma sull’attuale fine del mondo. 
Anche qui il titolo (originale) del romanzo ammicca. Cat’s Cradle, si riferisce infatti – oltre che al puerile giochino al quale Felix Hoenikker dedicò gran parte della giornata in cui la bomba disintegrava Hiroshima – a varie altre cose. Alla leggerezza e indifferenza con cui la storia allestisce le più atroci sofferenze dell’uomo. Alla leggerezza e indifferenza del Grande Regista nel gestire (diciamo così) le nostre tragedie collettive o individuali. Alla (angosciata) leggerezza con cui lo scrittore Vonnegut racconta l’indifferenza del padre della bomba, della Storia, del Regista. Un po’ da Cat’s Cradle è anche, ci accorgiamo, quel sorriso – tra ironico e atarassico – che Vonnegut ci spedisce dal suo ritratto sul retro dei due libri. Esaurite le riserve di disperazione per la sciagurataggine umana, egli tristemente-dolcemente sorride. Dell’uomo, delle sue invenzioni, delle sue guerre, dello scrivere, dell’essere scrittori.

Kurt Vonnegut

Kurt Vonnegut (Indianapolis, 1922 - New York, 2007) nacque in una famiglia colpita dalla Grande Depressione del ’29. Nel 1940 si iscrisse a biochimica all’università, poi andò sotto le armi …

La cattura

La cattura

di Salvo Palazzolo, Maurizio de Lucia