Marco D'Eramo: Capogang

09 Ottobre 2003
Così l'(ex) governatore Gray Davis è stato cacciato letteralmente a furor di popolo ed Arnold Schwarzenegger ha non vinto, ma trionfato. Ecco un risultato che fa tremare i polsi, quando si pensa che la California è non solo lo stato più popoloso (34 milioni di abitanti), più ricco (costituisce da solo il quinto paese industrializzato al mondo) e più simbolico (è la culla di Hollywood e della Silicon Valley) degli Stati uniti, cioè dell'impero mondiale che tutti ci domina, ma è anche il laboratorio dove si è spesso esperimentato quello che sarebbe poi diventato il futuro politico degli Usa. Ricordiamoci di Ronald Reagan che fiorì come politico proprio qui a Sacramento prima di fare il suo ingresso nell'arena nazionale. Ricordiamoci di Reagan anche in un altro senso: quando fu eletto nel 1980, fu irriso da tanti autorevoli commentatori europei come mediocre attorucolo diventato inquilino della Casa bianca solo grazie a quella che sembrava l'"incomprensibile e bislacca" logica della politica-spettacolo, grazie a un'"americanata" insomma. Nei suoi otto anni di potere invece, nonostante un Alzheimer incipiente, Reagan si dimostrò il più (contro)rivoluzionario presidente del XX secolo, che disfece quanto quarant'anni prima Franklin Delano Roosevelt aveva tessuto. Perciò anche se fa effetto vedere nei panni di governatore Conan il Barbaro, risparmiamoci le facili battute sulla democrazia al nandrololone, sulla politica dopata, sul regime muscoloso e sul pugno di ferro: il prosieguo degli eventi potrebbe riservarci sorprese.
Al netto dei sarcasmi, il voto californiano costituisce comunque un precedente minaccioso, un test riuscito di quella "tirannia dal basso" di cui proprio la California ci aveva già fornito qualche assaggio, quando aveva approvato referendum barbari come quello che sancisce l'ergastolo per chiunque sia stato condannato per la terza volta, o come quello (poi giudicato incostituzionale) che escludeva i figli degli immigrati clandestini dalle scuole pubbliche (negli Stati uniti i clandestini pagano le tasse).
L'idea che per esautorare (recall) un eletto basti un'iniziativa referendaria lanciata da qualche centinaio di migliaia di persone rappresenta una mina vagante nel funzionamento della democrazia: era dal 1931 che i californiani ci provavano, ma ci sono riusciti solo ora, al 66esimo tentativo. E comunque, in tutta la storia degli Stati uniti c'è un solo precedente, quello della governatrice del Nord Dakota, Lynn Frazer revocata nel 1921.
In questo senso il recall californiano è l'ennesima tappa dell'escalation nella violenza e nella ferocia dello scontro politico che ormai negli Stati uniti viene combattuto senza esclusioni di colpi: ricordiamo il tentativo di colpo di stato repubblicano nei confronti di Clinton, quando perseguirono il suo impeachment sulla base, assai capziosa, di una tresca, o anche il golpe, questa volta riuscito, della Corte suprema degli Stati uniti nel togliere la presidenza ad Al Gore che aveva vinto (seppur di poco) il voto popolare. La dice lunga sull'inaudita violenza dello scontro in atto il fatto che il partito repubblicano di California, ridotto alla disperazione, sia ricorso a un attore con dichiarate simpatie hitleriane. La lotta politica somiglia ormai negli Usa sempre più a una guerra tra gang, dove tutto è consentito, con esiti spesso non voluti: l'establishment repubblicano non è proprio esultante per la vittoria di un out-sider, filo-gay e filo-abortista, che rischia di disamorare la corrente dell'estrema destra cristiana, fortissima nel partito, e violentemente anti-abortista e anti-gay.
Con l'inselvatichirsi della lotta politica, procede di pari passo l'involuzione autoritaria della classe politica statunitense che a livello nazionale si esprime nei consiglieri del principe, i neoconservatori, la cui ideologia non fa che riesumare concezioni imperiali antiquate che riportano il mondo all'era coloniale.
Per quanto facile sia il gioco di parole, di quest'imbarbarimento della politica Conan il barbaro è un emblema espressivo. Ma non può farci dimenticare che gran parte della responsabilità del deteriorarsi della democrazia americana va all'apparato dei mass-media che almeno da vent'anni sono diventati fedeli portavoce dei poteri forti statunitensi, ossequiosi giullari che si dimostrano incapaci di emettere una pur fioca voce di protesta: basti paragonare, nella recente vicenda della guerra all'Iraq, il comportamento - critico - della Bbc in Gran Bretagna, con quello servile delle Tv Usa, dalla Cnn al network di Murdoch che censurano, manipolano e inventano notizie (ricordate il salvataggio della soldatessa Jessica?). I grandi mass-media Usa sono impegnati in un gigantesco programma di disinformazione, di censura selettiva e perciò di analfabetismo politico di ritorno dell'opinione pubblica americana. Anche qui, non è da escludere che alla classe dirigente Usa tocchi qualche conseguenza inaspettata, non proprio gradita, di questa volontaria, metodica opera di stordimento delle coscienze dei cittadini. Infine - diciamocela tutta -, il risultato di ieri fa paura non tanto per l'esito, probabile anche alla vigilia, quanto per le dimensioni a valanga della sconfitta dell'uno (democratico) e della vittoria dell'altro (repubblicano) in uno stato che rimane a maggioranza democratica. Né vale a consolarci la constatazione che su 34 milioni di californiani, 24,6 milioni hanno diciotto anni o più (cioè hanno teoricamente diritto al voto); su costoro solo 15,3 milioni si sono registrati (hanno cioè l'effettivo diritto al voto); su costoro solo 7,6 milioni sono andati a votare; e su costoro solo 3,6 milioni hanno votato per Schwarzenegger. Il meccanismo fa sì che sia iscritto come elettore solo il 62% degli aventi diritto, che abbia votato solo il 31% e che Schwarzenegger sia stato eletto solo dal 14,6%. Oggi ci appare valanga irrefrenabile un verdetto espresso da appena un californiano su sette aventi diritto al voto. Ma sono note da tempo le difficoltà frapposte di proposito negli Usa all'effettivo esercizio del teorico diritto di voto, ed è altrettanto nota la crescente reticenza americana a depositare la scheda (punzonata) nell'urna. Con tutte le cautele del caso, il voto di ieri rappresenta comunque un sonoro ceffone affibbiato alla classe politica, di fronte al quale fu solo un delicato buffetto la nostrana elezione a deputata dell'attrice porno Ilona Staller.
Il voto anti-politico si era già manifestato con la candidatura di Ross Perot alle elezioni del 1992: allora questo magnate di destra tolse abbastanza voti a George Bush il vecchio da permettere a Bill Clinton di vincere, proprio come nel 2000 il candidato verde Ralph Nader tolse ad Al Gore quei pochi voti che permisero a George Bush il giovane di scippare la presidenza con un broglio. La sotterranea corrente anti-politica ha continuato a serpeggiare sotterranea per tutto il decennio, ma oggi irrompe impetuosa in superficie con Schwarzenegger e pone una seria ipoteca sull'elezione presidenziale nell'autunno dell'anno prossimo.

P.S. Schwarzenegger non è nato negli Usa e quindi non può diventare presidente degli Stati uniti: non è una gran consolazione, ma toglie un peso dallo stomaco.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …