Marco D'Eramo: L'incognita Nader sulla sinistra Usa

10 Dicembre 2003
Campeggia la scritta "Arriviamo presto" (Coming soon!) sulla pagina ancora vuota del sito web naderexplore04.org, che sta per "Nader 2004 Presidential Exploratory Commettee", il comitato che sta sondando le acque per preparare la candidatura di Ralph Nader alle elezioni presidenziali del novembre 2004. Anche se Nader continua a dire che prenderà una decisione solo all'inizio dell'anno prossimo, la verità è che la raccolta dei fondi è già cominciata e che ormai da mesi la discussione divampa furibonda nella sinistra americana, e in particolare nel Partito Verde. Infatti il vero dubbio che ancora sussiste è se Nader si presenterà come candidato dei Verdi o - causa la crescente opposizione che incontra nel partito - come indipendente: non a caso lui annuncia una decisione per gennaio, mentre il Green Party prevede la sua convention per giugno.
Ecco come Micah Sifry ha sintetizzato su The Nation il dibattito sull'elezione 2004: "Il partito verde si divide grosso modo in tre campi. C'è chi, una piccola minoranza, non vuole nessun candidato alla presidenza. C'è poi un altro gruppo, anch'esso una piccola minoranza, che sostiene Nader come il miglior portavoce del partito e vuole che si candidi in campagna nazionale senza condizioni, anche se le motivazioni variano da chi è fautore di un antagonismo duro e puro a chi invece vuole massimizzare il potere di condizionamento dei verdi nel caso che la lizza (tra candidato repubblicano e democratico) sia testa a testa". Il terzo gruppo, più consistente, propugna una strategia di opposizione modulare: presentarsi solo negli "stati sicuri", cioè dove il candidato verde non rischia di far perdere il candidato democratico: questi "stati sicuri" sono comunque più di una trentina (quelli davvero in palio sono solo 17), e questo gruppo ha forti dubbi che Nader sia il candidato più adatto per una tale posizione.
A ragione Nader sostiene che la strategia degli "stati sicuri" è politicista: "O ti presenti o non ti presenti, ma non puoi dire: nel tuo stato non mi candido, perché non è sicuro". Più al fondo: per i fautori della candidatura Nader, in questi tre anni di presidenza Bush il bilancio dei democratici è stato fallimentare: molti senatori democratici hanno votato a favore dei colossali tagli fiscali a favore dei ricchi, quasi tutti i parlamentari democratici si sono fatti irretire nella trappola patriottica votando prima il liberticida Patriot Act e poi dando carta bianca a Bush in Afghanistan e in Iraq; oltretutto la loro voce è risultata fievolissima sullo scandalo delle contabilità truccate da parte delle grandi corporations come la Enron. Alexander Cokburn, politologo, editorialista e animatore del periodico (e sito web) Counterpunch, riprende l'argomento già usato nel 2000: se Nader supererà la barra del 5%, i verdi usufruiranno del finanziamento pubblico dei partiti (un sondaggio di Usa Today di fine ottobre diceva che il 23% degli americani era favorevole a una candidatura Nader, il 66 % era contrario). Infine, Blair Bobbier e gli altri fautori di Nader per il 2004 negano - a ragione - che la sua candidatura sia stata la causa determinante della vittoria di George W. Bush nelle elezioni del 2000: è vero infatti che fu la condotta suicida di Al Gore - in particolare la decisione di prendere le distanze più totali da Clinton di cui pure era stato vicepresidente per otto anni - a fargli perdere le elezioni (che pur tuttavia vinse e che gli furono scippate da un colpo di mano della maggioranza conservatrice della Corte suprema), tanto che Gore perse il proprio stato di origine, il Tennessee.
All'interno del partito verde, ma più in generale nella sinistra, sono eterogenee anche le motivazioni di chi si oppone a una candidatura Nader: contro la sua scesa in campo si è pronunciato il quindicinale di Chicago In These Times, ma ancor più importante, anche il più importante settimanale della sinistra Usa, The Nation, non solo con Micah Sifry, ma anche con Ronnie Bugger ("Ralph, non ti presentare", dicembre 2002) che è stato sostenitore di Nader: fu lui a presentarlo alle conventions verdi che lo nominarono candidato nel 1996 e nel 2000. Secondo questi esponenti verdi, come per esempio Dan Coleman, la presidenza Bush si è rivelata la più antiambientale della storia americana: ha permesso la perforazione petrolifera dei parchi nazionali dell'Alaska, ha ripudiato il trattato di Kyoto sulle emissioni di CO2, ha praticamente abolito il Clean Air Act che penalizzava le centrali inquinanti, ha abbassato le soglie legali di pericolosità di un numero enorme di sostanze tossiche, ha dato permesso di disboscare foreste nazionali, ha ridotto il numero delle specie protette, e la lista sarebbe lunghissima. Sconfiggere Bush è, secondo costoro, un dovere di cui i verdi devono rispondere non solo agli Stati uniti ma al mondo intero. Il ragionamento è: se l'amministrazione Bush ha agito da Attila quando la sua presidenza era illegittima (la maggioranza del voto popolare era andata a Gore), cosa mai potrà fare una volta che avrà ottenuto la legittimità del voto?
Questa posizione è più consona al clima attuale dell'opinione pubblica americana, che vede crescere un vero e proprio odio verso il presidente: ne è un sintomo l'ultimo disco del rapper Eminem: "Bush lo voglio vedere morto". Fa rizzare i capelli a tutti l'eventualità anche lontana che i voti per Nader, cioè verdi, possano contribuire a un altro quadriennio di Bush: l'altra eventualità da brivido che circola tra i dietrologi di sinistra è che alla vigilia del voto l'estate prossima Bush tiri fuori dal surgelatore il cadavere di Osama Bin Laden o quello di Saddam Hussein.
Impliciti in queste posizioni vi sono due assunti. Il primo è che se pure non è stato il fattore determinante, nel 2000 Nader ha però contribuito alla sconfitta di Al Gore: si ricordano i casi della Florida dove Nader ha raccolto 97.488 voti e Gore ha perso per 537 voti, e del New Hampshire, dove Nader ha ricevuto 22.198 voti e Bush ha vinto per poco più di 7.000 voti: con questi due stati, oggi Gore sarebbe presidente.
Il secondo assunto è che, se nel 2000 era possibile affermare che non ci fossero grandi differenze tra i due campi, repubblicano e democratico (allora Bush propugnava un "conservatorismo compassionevole"), questo è diventato insostenibile dopo tre anni di amministrazione Bush, la più reazionaria dell'ultimo secolo: il suo primo mandato è la dimostrazione paradossale che - contrariamente a un liso luogo comune della politologia, secondo cui nei sistemi bipolari si vince conquistando il centro, e dunque moderandosi - al contrario si può vincere spostandosi su posizioni estreme, in questo caso di estrema destra (ma ne avevano già dato più che convincenti dimostrazioni Ronald Reagan e Margareth Thatcher). Nel 2000 ci fu detto che in politica estera i repubblicani sono sempre stati più moderati e meno "imperialisti" dei democratici: Baghdad insegna.
C'è infine chi non si preoccupa tanto (o non solo) di abbattere Bush, ma teme che la candidatura Nader possa rivelarsi un boomerang per i verdi. Nel 2000 Nader raccolse 2.878.156 voti, pari al 2,73% del voto popolare. Ma in questi tre anni né i verdi né Nader hanno lavorato per una struttura elettorale più solida. Il timore è quindi che, nel clima di "voto utile", di non disperdere i voti per far cadere Bush, Nader veda crollare i consensi e il suo fallimento si ripercuoterebbe su tutto il Green party. Chi ha questo timore sostiene - come fa Elizabeth Horton Sheff, una dei rarissimi neri tra i dirigenti verdi - che il partito dovrebbe occuparsi di accrescere il proprio insediamento fra neri, ispanici, minoranze: nel 2000 solo un nero su 100 votò per Nader (un terzo della media nazionale). Il Verde resta un partito di ceto medio bianco. Invece, per quanto corrotto, smidollato, spesso venduto, il partito democratico resta il partito dei neri, dei sindacati, della maggioranza delle donne, di tutti gli impiegati pubblici, degli ispanici. La differenza tra partito democratico e repubblicano può essere impercettibile a livello di vertice, ma è un abisso antropologico alla base.
La confusione a sinistra è accresciuta dall'incertezza in campo democratico: lo stesso Nader si dice disposto a rinunciare alla candidatura se - eventualità assai improbabile - il pacifista Dennis Kucinich (deputato dell'Ohio) riceverà la nomination democratica. A tutt'oggi in campo democratico sono ancora in lizza nove candidati, e una cosa è se verrà scelto Howard Dean (ex governatore del Vermont), un'altra se il prescelto sarà il generale Wesley Clark (scopertosi democratico meno di un anno fa) o il senatore (del Connecticut) Joe Lieberman, della destra filopadronale del partito democratico. Se da un lato Nader ha ragione a dire che aspettare giugno per la convention dei verdi è troppo tardi, è anche vero che una strategia verde non può non tenere conto della candidatura democratica. Perché alla fine il voto sarà su una persona: ed è questo che rende radicalmente diverso il dibattito Usa (dove il terzo partito non ha mai trovato uno spazio e nel 1992 fu Ross Perot a far vincere Bill Clinton rubando a Bush i voti della destra) da quello italiano sulle candidature comuni. Qui si tratta di eleggere parecchi deputati e se uno non è eletto non è la fine del mondo, lì si sceglie un presidente o un altro. E può costituire davvero la differenza tra lo sgradevole e l'intollerabile.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …

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