Gianni Riotta: Disastroso ritirarsi ma l'offensiva non basta

08 Aprile 2004
La discussione sull' Iraq, nella settimana di passione di Falluja, Nassiriya e della rivolta a Bagdad, si cristallizza su due credi opposti: ritirare subito le truppe da quel Paese e lasciare che curdi, sciiti e sunniti regolino i conti, sanguinosamente, oppure reprimere l' insurrezione di Moqtada Al Sadr e Al Qaeda. Il sito Titanic si affolla di messaggi irti di accuse reciproche, "pacifisti imbelli", "guerrafondai!". La verità è che abbandonare l' Iraq è slogan, in malafede o ingenuo, e che la sola offensiva militare non basta. Il problema è sì restare, ma come e con quale strategia militare e politica? In ogni talk show tv un signore in abito blu, o una signora in tailleur grigio, predicano: "Non si batte il terrorismo con le truppe, occorre la pace in Palestina, cancellare la povertà, chiudere le multinazionali", e un diverso signore in abito grigio, o signora in tailleur blu, replicano: "E intanto Al Qaeda mette le bombe sui treni e i fedayn fanno a pezzi le loro vittime!". E' come se, per discutere del futuro di vostro figlio, vi chiedeste: "Lo faccio studiare o lo nutro? Lo mando in palestra o gli do l' aspirina contro l' influenza?". Occorre essere risoluti contro le radici del terrorismo e risoluti contro le sue manifestazioni. La pace giusta tra israeliani e arabi, la fine dei sussidi che affamano i poveri, un' economia globale armoniosa vanno rivendicate, ma nel frattempo occorre stanare le cellule di Al Qaeda e impedire che la mobilitazione nazionalista islamica dall' Iraq passi ai Paesi vicini. Saggezza e forza sono la sola strategia possibile. I veri pacifisti devono convivere con una mobilitazione militare, come scrisse il filosofo Bertrand Russell durante il secondo conflitto mondiale e i veri strateghi militari devono capire che senza un Piano Marshall per il Medio Oriente non si vince la I Guerra Globale. "Nella sconfitta caparbietà, nella vittoria magnanimità" insegnava Churchill che si intendeva di entrambe. Emma Bonino, l' ex commissaria europea, ha visitato in Iraq il governatore di Nassiriya, Sabri al Rumadia, che le ha detto: "Aiutateci. Non andate via. Sarebbe un disastro". E un gruppo di donne e studenti ha ripetuto alla Bonino il messaggio accorato che ha riempito i miei taccuini tra Bagdad, Falluja e Tikrit: "Abbiamo grandi speranze per il futuro, la difficoltà è oggi. Vogliamo lavoro e sicurezza. La fine di Saddam è stata un sogno ma gli alleati non ci proteggono. Saddam era l' arma di sterminio di massa, i terroristi uccidono due o tre persone al giorno, lui molte di più. Non vogliamo essere occupati ma se la coalizione lascia è la fine". Pensare che l' Iraq sia popolato da killer è razzista, come credere che tutti gli emigranti siano avanguardie di Al Qaeda. Al contrario, la maggioranza degli iracheni vuole una società civile stabile e la maggioranza degli emigranti nega il separatismo di Osama Bin Laden. Un anno fa ho definito la guerra unilaterale "la scelta peggiore". Il dopoguerra non è stato migliore: se, astutamente, Bush avesse concesso lauti contratti alle aziende francesi e tedesche, avrebbe avuto autorevoli lobbies in pressing su Chirac e Schröder, ma la ripicca dei neoconservatori ha, ahimè, prevalso. Anche la scelta di Parigi e Berlino di non concedere neppure un euro, truppe di pace o tecnici alla ricostruzione è avara e cieca. Non importa come la pensavate un anno fa: importa come vincere la guerra globale, dove Al Qaeda, clan razzista, non distinguerà mai tra buoni e cattivi, come dimostrano le trame nella Spagna socialista di Zapatero e dove Usa, Ue, Onu e Nato solo insieme si salveranno e salveranno l' Iraq. Post Scriptum: Rileggendo i miei articoli, raccolti in libro da Rizzoli, mi rendo conto che, non in pagina ma nel mio cuore, m' ero fidato d' istinto della deposizione del segretario di Stato Powell all' Onu. Oggi Powell, di cui ho fatto bene a riconoscere l' onestà, ha ammesso che il dossier Cia, base del suo discorso, non era fondato e io devo alle lettrici e ai lettori questo sincero riconoscimento.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …