Giuseppe Montesano: Forza Diego, la carica degli sms

23 Aprile 2004
A scanso di equivoci, io lo dichiaro subito: sono con il popolo di Diego. Un mare di sms ha inondato il "Mattino", sorprendendo quanti pensavano che Diego Armando Maradona non fosse più amato come un tempo. Ma io non sono sorpreso. L’uomo che appariva spesso in televisione era sempre a corto di fiato, ingrassato al punto che voltavamo imbarazzati la faccia per non guardarlo, e su di lui aleggiava l’ombra di una malattia profonda. E con questo? Quel corpo molle e sfatto, quel parlare impastato e sbadato che ascoltavamo atterriti e ipnotizzati, non riuscivano a cancellare "l’altro". L’uomo che aveva fatto del gioco del calcio un’arte inimitabile. E io lo so, quello che passava davvero davanti agli occhi di chi aveva visto giocare il pibe quando fissava in televisione la sua controfigura, perché è quello che vedevo anch’io. Dietro la decadenza dell’uomo noi vedevamo Diego divorare il campo con una rapidità e una leggerezza che lasciavano sbalorditi ogni volta: come poteva con quel corpo corto e tracagnotto danzare con un pallone che sembrava seguire il suo piede sinistro come un cagnolino felice e affascinato? Dietro la decadenza di quel corpo che camminava a stento, noi vedevamo l’indio che in una ubriacante danza si lasciava alle spalle gli antichi signori del mondo, il piccoletto che seminava gli atletici spilungoni biondi e rossicci tirati su a vitamine e omogeneizzati, che trasformava in statuine di sale gli attoniti avversari e umiliava la squadra dell’Inghilterra. Dietro la lenta, impacciata mole del campione finito, noi vedevamo l’artista, l’uomo che aveva costretto una rozza sfera di cuoio piena d’aria a diventare una cosa viva, una docile materia che violava le leggi della gravità e andava a depositarsi nel sette.
E poi che cosa vorrà mai dire, "un campione finito"? Un artista che ha realizzato se stesso pienamente, non finisce mai. Non importa il passare del tempo, non importa il grasso che si accumula nei fianchi e dovunque, non importa la delusione per l’uomo che è debole: niente cancella il sogno realizzato. E perché mai questo sogno dovrebbe essere spregevole? Nessun tifoso ha mai giustificato la cocaina di Diego, nessuno ha mai risparmiato critiche alle sciocchezze della sua vita privata. Ma forse si può dimenticare e cancellare qualcosa che si è amato? Questo solo dice nei suoi messaggi il popolo di Diego, e certo è il contrario di una cosa spregevole commuoversi per qualcuno che è entrato a far parte della nostra immaginazione.
Anche i sogni hanno diritto all’esistenza, e per un tempo che è stato troppo breve, il sogno incarnato in quella faccia furbesca e ingenua, metà scugnizzo irriducibile e metà genio misterioso, ha ospitato dentro di sé una promessa sia pure irragionevole di liberazione: la promessa che ciò che era nato storto riceverà un giorno il dono di far innamorare di sé la gente, che chi secondo le leggi della sorte doveva restare povero potrà accedere come per miracolo al palazzo incantato che credeva gli fosse precluso, che la vita di tutti possa essere anche solo per un attimo imprevedibile e fantasiosa come la traiettoria di un pallone. E nel fiume di messaggi che chiedono a Diego di dribblare anche la morte, che sperano che riesca a farcela anche questa volta, che non riescono a dire niente perché sono troppo addolorati, non è vero che ci sia una Napoli "vecchia" e da buttare via, o l’eterna plebe che vuole solo spassarsela: ci sono semplicemente persone di ogni genere che dicono grazie al loro artista, e come si farebbe per una qualsiasi persona cara gli augurano di cavarsela. Chi in questi anni di decadenza di Maradona non ha sognato, almeno una volta, infantilmente e testardamente, che all’improvviso il pibe tornasse quello di prima, e sorprendesse tutti con finte e dribbling e colpi di tacco? Era la speranza che in quel corpaccione sformato tornasse a rivivere l’eterno ragazzo che siamo tutti, che la fantasia trionfasse sul male di vivere, che gli errori non portassero per forza a perdere se stessi. È questo che il popolo di Diego ha scritto nei suoi messaggi, è questo l’augurio che ha espresso al grande mancino: e per quanto mi riguarda, io questa lettera collettiva la sottoscrivo parola per parola.

Giuseppe Montesano

Giuseppe Montesano è nato a Napoli. Ha pubblicato due romanzi: A capofitto e Nel corpo di Napoli (Premio Napoli, Superpremio Vittorini, Premio La Torre, Premio Scommesse sul Futuro, finalista Premio …