Marco D'Eramo: Benvenuti tutti al Cherokee Casino

28 Aprile 2004
Entri, e ti trovi in un antro immane. Fuori è giorno, ma dentro non te ne accorgi, sotto le luci rosse dell'alto soffitto, nell'illuminazione artificiale accesa 24 ore al giorno 365 giorni l'anno. Davanti a te, a destra e a sinistra si distendono file sterminate di mangiasoldi: la sola area di gioco copre 6.500 metri quadrati, un campo di calcio, ed è affollata da ben 3.600 slot machines, videopoker e altre scommesse elettroniche. Davanti a ogni macchina, isolato/a dal mondo circostante, in un rapporto chiuso tra lo schermo e se stesso/a, siede il giocatore/giocatrice, materialmente incatenato/a alla macchina dalla cordicella che unisce il suo bavero alla carta di credito magnetica inserita in una fessura sopra lo schermo, e che sostituisce le fiches o i quarti di dollaro. Migliaia di giocatori - quasi tutti proletari o borghesi piccoli piccoli - siedono così in assorta solitudine a ripetere sempre gli stessi gesti, come in una catena di montaggio: siamo di fronte al taylorismo dell'azzardo, al giocatore massa: ogni anno entrano qui 3 milioni 450 mila giocatori, quasi 10.000 al giorno, con punte di 16.000 a luglio. Con una caratteristica in più: la maggioranza di questi scommettitori serializzati è anziana, non di rado decrepita. In una devastante densità di pannoloni, il ticchettio metallico delle slot machines si mischia con i respiratori di ossigeno portati a spasso, con il cigolio delle carrozzelle. Benvenuti nell'Harrah's Cherokee Casino. È appena finita una tormenta tardiva, ad aprile avanzato, quando lascio Knoxville, in Tennessee, diretto verso sud. La neve imbianca le Smoky Mountains, l'area montagnosa più turistica degli Stati uniti, qui negli Appalachi meridionali. Sul versante nord, la nebbia ricopre le pendici imbiancate e giustifica il nome di "Montagne fumose". Superato il passo Cherokee, a 1.600 metri di quota, il cielo si libera in un azzurro terso su un orizzonte ondulato di boschi ancora spogli, lungo la strada in declivio sempre più dolce verso la valle del fiume Oconaluftee, dove inizia la riserva Cherokee estesa su 230 kmq. Dopo il Museo indiano, c'è la casa del Consiglio tribale, poi, traversato il fiume, ecco una serie ininterrotta di ricordini, paccottiglia, mocassini pseudo indiani. Negozi e ristoranti hanno nomi tipo Pow Wow, Grande Capo, Orso qui, Cervo là. Le insegne sono a forma di totem. Fuori da un negozio campeggia anche una gigantesca statua di indiano a torso nudo con il capo incoronato dalle penne d'uccello, a beneficio dei turisti: i Cherokee non andavano a torso nudo, né portavano copricapi circondati da penne, ma avevano una sola penna infilata nei capelli dietro, tanto che il settimanale della riserva si chiama Cherokee One Feather ("Penna sola Cherokee").

Navette per giocatori anziani
E poi, all'improvviso, uno sterminato parcheggio (1.800 posti macchina di capienza), un palazzone di 15 piani (un albergo con 252 stanze, cinque ristoranti e un auditorio da 1.400 posti) e accanto, collegata da un cavalcavia coperto, la massiccia costruzione del Harrah's Cherokee Casino. Nel fiume Oconalufte che scorre con mulinelli sotto il cavalcavia, un pescatore resiste incongruo alla corrente con la speranza di trote abboccanti alla sua canna. Navette raccolgono gli anziani giocatori dalle aree di parcheggio più remote. Un Kindergarden intrattiene i bambini mentre i genitori si pelano gioiosamente con le proprie mani. E l'Harrahs è solo uno dei 205 casinos che da 16 anni sono cresciuti come funghi in un terzo delle 557 riserve indiane degli Stati uniti, facendo gridare allo scandalo in migliaia di articoli. Ma ai Casinos indiani va solo meno del 10% del fiume di denaro (più di 500 miliardi di dollari l'anno) che la passione per il gioco degli americani sciala nelle lotterie (40%) e nei casinos "bianchi". Nel 2002, 52 milioni di americani hanno frequentato i casinos e in media ognuno di loro ci è andato 5,8 volte nell'anno. L'Harrah's Cherokee Casino non è nemmeno tra i più grandi: vicino a Ledyard in Connecticut, gli indiani Mashantucket Pequot possiedono il Foxwood Resort con una superficie di gioco di 29.000 mq, 6.700 slot machines, 300 tavoli da gioco, tre alberghi e 18 ristoranti. Il Foxwood fattura quasi un miliardo di dollari l'anno.
Invece, nell'anno fiscale 2002-3, il Cherokee Casino ha fatturato 400 milioni di dollari e la tribù ha incassato 175 milioni di dollari. Dell'introito annuo, la metà è distribuita in parti uguali a ogni membro iscritto della tribù. Oggi i membri iscritti sono 13.181 e ognuno di loro ha ricevuto 6.646 dollari in due assegni (uno di 3.100 e l'altro di 3.546). I soldi vanno anche ai bambini, ma vengono congelati in un fondo disponibile solo quando hanno 18 anni e hanno conseguito un diploma di studi secondari, altrimenti a 21 anni.

E' riunito il Consiglio tribale
Per capire quale impatto ha avuto il Casino sulla vita dei Cherokees, vado al Consiglio tribale che però vedo riunito in sessione attraverso la porta aperta a piano terra. Allora mi dirigo verso la redazione del Cherokee One Feather. Entro in quella che una volta era una fabbrica di mocassini ed ora ospita gli uffici pubblici della tribù. Dopo vari corridoi, arrivo in una stanza dove da una tv giunge la telecronaca della riunione del consiglio tribale (la trasmissione sulla rete locale è obbligatoria). Parlo con il redattore Tom McKay. Il giornale tira 3.800 copie, è finanziato dal Consiglio (cioè dal Casino). Secondo lui, "il vero effetto del Casino è stato quello di creare tra i Cherokees una `classe media'" (in America la middle class comprende il proletariato e la piccola borghesia, mentre la borghesia agiata è l'upper middle class). "Ma è meglio se parlo con altri". Una signora vivace, Marie Jane Ferguson, mi riempie di dépliants e di CD-Rom. Da ognuno mi viene detto solo bene del Casino e della prosperità che ha portato. Una famiglia con due figli riceve 13.000 dollari l'anno da spendere subito, e altri 13.000 vincolati per i figli, ha la copertura medica, borse di studio per il college e l'università. I ricercatori della Duke University dicono che il Casino ha un'influenza positiva anche sui disturbi mentali dei bambini che vengono accuditi con più cura da genitori più agiati. Al Casino lavorano 1.700 dipendenti, di cui 500 della tribù. Molti altri Cherokee lavorano nell'indotto del Casino, e ormai, con i nuovi fondi, il Tribal Government ha più di 900 dipendenti: il corpo di polizia ha 48 agenti cui uno adibito alle molestie sessuali e tre "investigatori tribali" (a volte l'aggettivo "tribale" pare tropo insistito). Soprattutto, è stato aperto un Centro per il diabete che infuria nella riserva, una vera epidemia, dovuta a fattori genetici e all'alimentazione.
Ma nessuno mi spiega l'incongruenza notata facendo ricerche nell'archivio storico di Knoxville: nel 1837 solo pochi Cherokee, nascosti nelle foreste, erano riusciti a sfuggire alla deportazione forzata ordinata dal presidente Andrew Jackson: allora 16.000 tra loro avevano dovuto percorrere 2.000 km fino all'Oklahoma; 4.000 erano morti per le privazioni, il freddo e le sevizie, e il loro tragitto è ricordato come "la Via delle Lacrime". Nel 1947 erano solo 3.000 i loro discendenti, di cui 2.500 nella riserva. Ma nel 1974 i Cherokees erano diventati 6.500 di cui 5.500 nella riserva. Oggi gli iscritti sono 13.180. Cioè sono più che quadruplicati nel giro di 57 anni, un trend inspiegabile demograficamente. Nessuna popolazione si quadruplica in 57 anni: la popolazione Usa non è neanche raddoppiata, nonostante un afflusso di 30 milioni di immigrati.
Nell'ufficio delle risorse culturali Renissa Walker mi spiega l'incongruenza con il meccanismo della registrazione: per essere iscritto nei ranghi Cherokee, si deve dimostrare, con certificati di nascita, almeno un sedicesimo di sangue Cherokee (sentir parlare di sedicesimi di sangue fa impressione perché ricorda la catalogazione nazista degli ebrei). "E da quando è aperto il casino, hanno fatto domanda d'iscrizione molti sangue misto che prima non avevano rivendicato l'origine Cherokee e ora invece avevano tutto da guadagnarne. Io stessa sono di sangue misto: ho una metà di sangue Cherokee, un quarto di sangue Sioux e un quarto di sangue scozzese-irlandese. Anche mio marito ha metà sangue Cherokee e i nostri figli saranno mezzo sangue. Qui si fanno un sacco di ricerche genealogiche. Altre nazioni indiane non iscrivono nei ruoli per sangue".

Il nuovo orgoglio pellerossa
In realtà, l'andamento della popolazione Cherokee riflette quello generale degli indiani negli Stati uniti. All'inizio del `900 sembravano in via di estinzione, ma poi sono andati sempre crescendo. Nel 1940 il Census contava 334.000 indiani; nel 1970 erano 793.000 e nel 2001 2 milioni 726.000: tra il 1940 e il 2000 si erano moltiplicati per nove! La loro crescita è il caso più citato per dimostrare il carattere volontario dell'identità: mentre nella prima metà del `900 un "pellerossa" era un paria, nella seconda metà del secolo, soprattutto dopo il "nero è bello" degli anni `60, si è andata strutturando una nuova fierezza etnica delle nazioni native, e sempre più "bianchi" hanno "riscoperto" le loro origini indiane. Basta leggere i tanti giornali indiani stampati negli Usa - Indian Country Today, The Native Voice, o News from Indian Country (The Nations Native Journal) - per percepire il nuovo orgoglio.
Il denaro dei casinos ha contribuito a un benessere materiale prima solo sognato, anche se gran parte del denaro finisce nelle tasche della malavita, e molte nazioni indiane vivono ancora in miseria. Nel 1947 il Knoxville Post-Sentinel descriveva la riserva Cherokee come pittoresca, povera, montanara e il giornalista ribadiva che il Cherokee "1. Non è ignorante, ma intelligente e si procura un'istruzione nelle Scuole Indiane. 2. Non è affatto indolente, coltiva i suoi campicelli, lavora nei lavori turistici...". Ancora nel 1982 i soli posti di lavoro stabili erano circa 300 in due fabbriche di mocassini e di artigianato indiano, White Shields e Cherokee Inc., mentre nei mesi invernali la disoccupazione era superiore al 50%.

"Il senso della famiglia è fortissimo"
"Il nostro Principal Chief è laureato in economia e commercio e io stessa otterrò a settembre un Master in Business e Administration, dice Renisssa Walker. Se io e mio marito abbiamo potuto studiare e se i nostri figli potranno andare all'università, è grazie al Casino. Conosco uomini che erano alcolizzati e che adesso sono in grado di guidare la loro auto. E poi il Casino ha un impatto su tutta la regione. C'è gente che viene a lavorare qui da altre contee. E il denaro che noi prendiamo dal Casino lo spendiamo nei Mall delle contee circostanti. Il Casino è il più grande datore di lavoro di questa parte dello stato. Prima vivevamo a margine, lasciati andare, in attesa di niente. E non è vero che sta distruggendo la nostra cultura, anzi. Dipendiamo meno dal folklore. Ma siamo sempre Cherokee: posso guidare un'auto americana, lavorare in un ufficio americano, ma il nostro stile di vita è quello: nella via dove vivo, abitano solo persone della mia famiglia allargata: il senso della famiglia è fortissimo". (Vedo il suo pancione e le chiedo quando partorirà: "Il 7 maggio", mi risponde precisa, "me l'ha detto il medico").
È vero che i Cherokee stanno meglio di 20 anni fa e molto meglio di 60 anni fa, per istruzione, salute, agiatezza, infrastrutture. È un processo di normalizzazione: la riserva indiana tende a somigliare a tutte le stazioni turistiche americane con la loro orripilante, slabbrata successione di motel a buon mercato, catene di fast food, pompe di benzina, supermercati, attrazioni da quattro soldi; e gli stessi Cherokee diventano sempre più simili agli altri gruppi etnici, quelli degli immigrati europei e asiatici.
È paradossale il percorso che hanno dovuto fare gli abitanti originari di questa terra per arrivare a essere accettati come lo sono gli immigrati che li hanno scalzati.
Pensi al Sentiero delle Lacrime e ti perdi nel ricostruire le peripezie per cui gli originari occupanti di questo continente traggono ora il proprio benessere dalla passione senile dei discendenti dei loro sterminatori, che tremolanti dilapidano pensioni, liquidazioni, i frutti di una vita di lavoro nel gigantesco antro del Cherokee Casino.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …