Gianni Riotta: Il tormento dell' America "Casa Bianca senza idee"

12 Maggio 2004
Al consiglio di guerra tenuto ieri, il presidente George W. Bush decide di seguire la linea del vicepresidente Dick Cheney e confermare, malgrado lo scandalo degli abusi nel carcere di Abu Ghraib, il ministro della Difesa Donald Rumsfeld: "Sta facendo un lavoro eccellente e ha la gratitudine del Paese per la sua coraggiosa autorità". I generali, da sempre ostili alla riforma dell'esercito propugnata da Rumsfeld, fanno pervenire a Bush, al segretario della Difesa Powell, al capo di stato maggiore Myers e al suo vice Pace, raccolti a discutere delle torture ad Abu Ghraib, la loro più profonda preoccupazione: "Il mondo ha ribrezzo morale per le sevizie, gli arabi ci odieranno ancor di più, la nostra strategia non funziona e rischiamo ora la sconfitta, vincendo battaglia e perdendo la guerra", spiega un consigliere militare del Pentagono. Un sondaggio Gallup calcola che, per la prima volta dalla caduta di Saddam Hussein, la maggioranza degli iracheni è favorevole al ritiro immediato delle truppe Usa. I generali propongono all'opinione pubblica una prospettiva perfino più inquietante. La rottura della catena di comando e le ripugnanti sevizie di Bagdad lasciano presumere caos, disordine, mancanza di coordinamento che potrebbero comportare la sconfitta della più forte armata nella storia. Il ministro Powell, veterano del Vietnam ed ex capo di stato maggiore, ha letto con preoccupazione il giudizio del rispettato colonnello Paul Hughes, ex direttore del comando strategico a Bagdad: "In Vietnam abbiamo vinto tutte le battaglie e perduto la guerra, combattendo senza coerenza". All'esterno il consigliere del presidente Karl Rove, persuaso che l'immagine sia tutto, insiste nel non concedere in pasto all'opposizione democratica Rumsfeld, trovando il tempo di parlare ai laureandi della Liberty University dicendo: "Toglietevi sempre orecchini e piercing ai colloqui di lavoro". I militari sono abituati più a badare alla sostanza delle armi che al luccichio del look: "Basta con il miraggio della democrazia in Iraq, obiettivo che non raggiungeremo mai. Meglio guardare al modello Falluja" ammette un consigliere del Pentagono. Lo scandalo torture potrebbe indurre a ripiegare sul "modello Falluja", i marines che fanno da riserva alle milizie locali e un pugno di generali iracheni a governare la città ribelle. E'probabile che Bush, se rieletto a novembre piegando lo sfidante democratico John Kerry, proporrà "il modello Falluja" in tutto il Paese, truppe di stanza come controllo e un consiglio di governo di ex ministri, scelti dal messo dell'Onu Lakhdar Brahimi. I disegni di rifondazione del Medio Oriente cari ai circoli intellettuali conservatori sono frantumati dalla soldatessa ventenne che lega al cappio un detenuto iracheno nudo, dai cani aizzati come nell'Alabama razzista dello sceriffo Bull Connors quando Condoleezza Rice era bambina, dai sospetti di stupro. E, come sempre quando le cose vano male, tanti cominciano a sfilarsi. I militari più seri ricordano che le guerre si possono combattere, ma poi occorre provare seriamente a vincerle. E i guru conservatori cambiano lo spartito, dall'andante con brio di un anno fa al pianissimo di queste ore. Per George Will "l'Amministrazione non sa né pensare né riflettere". Robert Kagan, che coniò il fuorviante slogan "l'America discende da Marte l'Europa da Venere" per elogiare le virtù marziali Usa, si pente "perfino i più ciechi paladini di Bush devono vedere che l'Amministrazione non ha la più vaga idea di che cosa fare, non tra un mese ma domani". E Andrew Sullivan, il conservatore cattolico che diresse il settimanale The New Republic annota sul suo sito Internet www.andrewsullivan.com "sono stato favorevole alla guerra e fra le ragioni di chi era contrario ho sottovalutato quelle che denunciavano l'Amministrazione come incompetente e arrogante. Ho sbagliato". Commentatori e intellettuali possono pentirsi nei talk show senza troppi problemi. I militari che combattono in Iraq e hanno visto scemare in un anno le speranze degli iracheni, dai primi timidi applausi alla delusioni seguite ad Abu Ghraib, temono con il colonnello Hughes una sconfitta. Il vicesegretario di Stato Armitage esamina il fronte diplomatico: "Gli arabi ci detestano ancora di più, ma lo scandalo abusi per i nostri amici europei si chiama tortura". Per il ‟Los Angeles Times” Bush è davanti a un paradosso, "come il rompicapo cubo di Rubik" quando l'economia andava male la guerra procedeva, quando l'economia riprende la guerra diventa incubo. Tutto fatto dunque per il senatore democratico John Kerry? Non proprio, se il settimanale storico della sinistra ‟Village Voice” titola "Kerry dimettiti" accusandolo di scarsa presenza, l'analista Mickey Kaus pubblica "l'indice del panico democratico" per l'inanità di Kerry e il ‟New York Observer” conclude: "Quando Kerry va in tv perde voti". Kerry non ha alternative a Bagdad, rischia di non trovare più alleati (un suo consigliere dice "prego che gli italiani e gli inglesi restino fino a novembre") e i terroristi non faranno sconti a nessuno. La superpotenza che un anno fa sembrava alla carica, sicura di sé sul fronte militare e diplomatico, vede il presidente confuso, la difesa umiliata, i militari preoccupati, l'opposizione demoralizzata. Nei sondaggi Bush e Kerry sono ancora pressoché alla pari: lo smarrimento prevale e non accelera, per ora, drastiche scelte di campo. Di certo l'operazione Iraq come il presidente l'aveva concepita è fallita, lo dicono anche i suoi. Resta da vedere se il Paese deciderà di castigarlo per questo o, temendo il terrorismo, gli concederà una seconda chance.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …