Gianni Riotta: Trentasette giorni decisivi Per Brahimi e Casa Bianca

28 Maggio 2004
Lo scandalo nel carcere di Abu Ghraib e lo scacco militare a Falluja e Najaf hanno privato il presidente americano George W. Bush di una solida strategia in Iraq. Con soli 37 giorni al passaggio di poteri al governo iracheno a Bagdad, e a cinque mesi dalle elezioni per la Casa Bianca, il consigliere repubblicano Karl Rove è in ansia e studia una controffensiva in due direzioni. Ieri mattina, all'Onu, ha cominciato a circolare la nuova bozza di risoluzione per l'Iraq, sponsor Usa e Gran Bretagna. Per ieri sera (la notte italiana) Bush aveva in programma il primo di sei ambiziosi discorsi agli elettori. Il testo che gli angloamericani presentano all'Onu, dopo i disastri in Consiglio di sicurezza un anno fa, conferisce il potere in Iraq alla giunta che Lakhdar Brahimi, messo del segretario generale Kofi Annan, sta convocando. Non fissa la data del ritiro per i 130.000 militari della coalizione, come chiesto da Francia e Germania, ma lascia alla giunta la possibilità di verificare la questione entro dodici mesi, con elezioni previste per il gennaio 2005. Il controllo sulle risorse petrolifere sarà appannaggio della giunta, che entrerà anche in controllo del fondo che ha, fin qui, raccolto i profitti del greggio. Positive le prime reazioni, il ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer dice: "C'è un accordo di massima, possiamo, e desideriamo, raggiungere un consenso". Ma il cancelliere Gerhard Schröder, dioscuro con il presidente francese Jacques Chirac del "no alla guerra!", frena, "il passaggio di poteri" secondo lui, è valido solo se comprende anche "la sicurezza". Tema sul quale gli Usa, oggetto ogni giorno di attacchi in Iraq, non intendono per ora cedere. Le dichiarazioni ottimistiche di ieri al Palazzo di Vetro vanno perciò prese cum grano salis. Tutto funziona se l'astuto ex ministro algerino Brahimi è davvero in grado di tirare fuori, entro maggio, la lista dei ministri, vistata dal diplomatico americano Bob Blackwill che gli fa da spalla. Brahimi deve nominare un presidente, un primo ministro, due vicepresidenti onorari e i ministri. Ma curdi, sciiti e sunniti rumoreggiano per i posti più in vista, e gli esclusi annunciano boicottaggi. La risoluzione Onu non mette al centro la Costituzione irachena, che, amata dai curdi cui garantisce autonomia, è detestata dal Gran Ayatollah sciita Ali Al Sistani, perché riconosce il veto etnico che blocca la maggioranza popolare alla sua confessione. Se Brahimi fallisse sarebbe il ritorno al punto, caotico, di partenza. Se redige in tempo il suo Manuale Cencelli in Mesopotamia, sarà un passo, solo un passo, in avanti. Il presidente Bush guarda i sondaggi, che lo vedono tra il 42% (Zogby poll) e il 49% nel consenso popolare, con addirittura il 64% che ne contesta la linea in Iraq. Rove gli passa gli indici storici, nell'America contemporanea solo tre presidenti hanno affrontato le urne di novembre partendo a giugno da una popolarità inferiore al 50%: Ford 1976, Carter 1980 e Bush padre 1992. Tutti e tre sono stati sconfitti. Bush sa che i 37 giorni che lo separano dal passaggio di poteri tra l'inane governatore Paul Bremer e la giunta Brahimi sono decisivi, se non vuole che a novembre ci sia anche il passaggio di poteri alla Casa Bianca tra lui e il senatore democratico John Kerry. Per la prima volta dall'alba della Guerra Fredda le elezioni si giocano sulla politica estera e Bush si sente alle corde. La propaganda che ripeteva "tutto va bene" ha lasciato campo a un nuovo spot, "tenere duro", ma entrambi gli slogan non persuadono un'opinione pubblica pronta a sostenere le truppe in Iraq, purché sia chiaro il disegno strategico nella guerra al terrorismo. Le sevizie nel carcere di Abu Ghraib hanno seminato sdegno tra tanti elettori e privato Bush del manto morale di "liberatore" dalla dittatura di Saddam. Per riprendere l'iniziativa il presidente ha preparato un discorso in quattro punti: lavorare con le Nazioni Unite accanto al nuovo governo iracheno; battere i ribelli e formare la polizia locale; ricostruire il Paese; raccogliere intorno alla nuova risoluzione Onu ulteriori alleati. Le prime obiezioni vengono dal suo partito, i conservatori repubblicani vedono male la delega totale all'Onu e la fine del "sogno democratico per il Medio Oriente". I moderati sono perplessi perché non si vedono alternative al lodo Brahimi. Contro Bush anche l'ex generale Anthony Zinni, già comandante delle truppe in Medio Oriente, che nel libro Battle ready, pronti alla battaglia, scritto con il giallista Tom Clancy, lo accusa di "strategia fasulla, mancanza di pianificazione, inutile rottura con gli alleati, sottovalutazione delle difficoltà, distrazione dagli altri teatri di guerra (Afghanistan ndr), stress insopportabile imposto alle forze armate". "Bush dice "tenere la rotta", ma la rotta ci porta dritto alle Cascate del Niagara", dice il falco Zinni. Per contrastare il risentimento dell'esercito contro il ministro della Difesa Rumsfeld, Karl Rove ha persuaso Bush a parlare lunedì sera dal prestigioso Army War College, l'università di studi strategici in Pennsylvania che prepara gli ufficiali alle sfide del futuro. Farà da scenografia a un leader in difficoltà, mentre sui banchi del War College arriva, fresca di stampa, la "National Military Strategy 2004", nuovo piano strategico Usa, con la franca morale: "Le decisive vittorie del futuro son legate all'integrazione dello sforzo militare con la stabilità del dopoguerra... militarmente non possiamo perdere, ma l'esercito da solo non vincerà la pace, che richiede sforzi sul fronte politico ed economico". Bush entra nel mese decisivo della sua vita: la giunta Brahimi, il G8 in Georgia per discutere di Medio Oriente, il vertice Nato per le intese militari con Paesi asiatici, il summit con l'Unione Europea e i festeggiamenti per lo sbarco in Normandia con l'incontro con Chirac. Se non esce da questi riflettori con risultati concreti e se non si fermano i kamikaze a Bagdad, l'estate e l'autunno saranno durissimi. Una nota di pessimismo la suona Philip Gordon, che dirige il Centro Usa-Europa alla Brookings Institutions: "Gli europei non lo ammetteranno mai apertamente, ma l'ultima cosa che desiderano al mondo è permettere a Bush di mettersi a capo degli alleati occidentali". Negargli il ruolo di leader, sarà il loro voto per la Casa Bianca 2004.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …