Marco D’Eramo: L'Italia vista dagli States. Una colonia

07 Giugno 2004
Una professoressa della Northwestern University di Evanston mi accompagna alla libreria del campus per aiutarmi a trovare dei libri che mi ha suggerito. Quando arriva il momento di pagare, tiro fuori la carta di credito, e lei commenta col libraio alla cassa: "Vede i nuovi italiani! Hanno la carta di credito". Ecco un piccolo sintomo dell'immagine che dell'Italia hanno gli statunitensi: immagine di cui i nostri politici e diplomatici sono affatto ignari, ignoranza che li induce a errori clamorosi (cui io stesso a volte ho assistito). Cantonate in cui continuamente ricadono Silvio Berlusconi e i suoi ministri. Infatti per molto tempo ancora dall'immaginario collettivo Usa non potrà essere cancellata la prima, fortissima immagine delle maree di immigrati italiani che qui giunsero a cavallo di `800 e `900. Nei 50 anni tra il 1870 e il 1922, 5 milioni sbarcarono a State Island, 2 milioni nel solo decennio 1900-10. Nel 2000, su una popolazione complessiva di 281 milioni di abitanti, 15,7 milioni di statunitensi reclamavano un'origine italiana. Oggi noi crediamo che l'immagine dell'Italia quella del cinema italiano e del made in Italy, Ferrari, Armani e Versace. Ma dimentichiamo quello che nel 1912 il futuro presidente Usa Woodrow Wilson scriveva nella sua History of American People: "...Arrivano moltitudini di uomini della classe più bassa, dal sud dell'Italia, e uomini del genere più spregevole dall'Ungheria e dalla Polonia, uomini dalle cui file non traspare né qualificazione né energia, né iniziativa né intelligenza sveglia; e sono venuti in numeri crescenti anno dopo anno come se i paesi del sud Europa si stessero sgravando dei loro più sordidi e sfortunati elementi. Perfino i cinesi sarebbero più desiderabili come lavoratori, se non come cittadini, della maggior parte di questa feccia che affolla i nostri porti orientali". Oppure un articolo del 1888: "Gli immigranti italiani possiedono un livello di cultura ed educazione così basso che i lavoratori americani, abituati a un più alto livello di vita, non possono competere con loro. È impossibile per gli americani piegarsi a livelli così bassi di esistenza - hanno scoperto gli investigatori congressuali - , come per esempio vivere di rifiuti, essere ammassati insieme come animali, non avere la minima nozione di pulizia e igiene. Non ci può essere nessun vantaggio per questo paese nel lasciar entrare gente simile. Al meglio, possono contribuire a portare una condizione di barbarie".
Gli italiani erano spesso vittime di linciaggi. Ecco la storia di uno di essi: il 15 ottobre 1890 fu ucciso il sovrintendente della polizia di New Orleans, David Hennessy. Gli abitanti ne attribuirono la responsabilità ai siciliani perché Hennessy era stato impegnato in un'operazione anticrimine nella colonia italiana.
In un clima d'isteria, la polizia arrestò centinaia di italiani e ne fece processare nove. Con gran costernazione della comunità americana, la giuria trovò sei dei nove accusati "non colpevoli" e non riuscì a raggiungere un verdetto sugli altri tre. Voci di corruzione e minaccia ai testimoni riempirono New Orleans; politici e giornali chiesero che si rimediasse a questo "fallimento" della giustizia. Una folla attaccò la prigione, ne tirò fuori undici italiani e li linciò. L'affare prese le dimensioni di una crisi internazionale. Come scrive Nelli nel suo libro Italians in Chicago, "per un breve periodo, nel 1891, una guerra tra Italia e Stati uniti parve una prospettiva concreta". Infine nel dicembre del 1891, nell'annuale messaggio al Congresso, il presidente Benjamin Harrison definì il fatto "il più deplorevole e disonorevole incidente, un'offesa contro la legge e l'umanità", concesse un risarcimento ai familiari delle vittime e la crisi rientrò. E poi c'è l'ombra di Cosa nostra e della della criminalità. Fino agli anni '40, gli italiani più famosi negli Usa furono senza dubbio Al(fonso) Capone, ideatore del Sindacato del crimine, e gli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, condannati a morte. E dopo di allora un numero spropositato di celebrità italoamericane emerge soprattutto nello spettacolo e nello sport (Frank Capra, Frank Sinatra, Perry Como, Sal Mineo, Michael Cimino, Martin Scorsece, Francis e Sofia Coppola, Nicholas Cage - in realtà anche lui un Coppola -, Al Pacino, Robert De Niro, John Travolta, Joe Di Maggio, Jack Lamotta, Rocky Marciano...).
L'eredità migratoria la si sente persino nella cosiddetta "cucina italiana", versione Usa: una cucina distrutta da un uso smodato, pazzesco di aglio: il direttore di un periodico di sinistra in visita in Italia si stupiva con me: "Ma voi non usate tanto aglio!". Nel sistema castale americano, i neri sono sotto i bianchi, ma i cattolici stanno sotto i protestanti e i cattolici italiani sotto gli irlandesi, tanto che oggi nella complicata gerarchia etnica, si è avverata la profezia di Wilson: gli italo-americani si situano più o meno al livello dei sino-americani.
Nel corso della storia sono stati così attribuiti all'Italia i connotati che erano propri dei suoi immigrati più poveri e meno alfabetizzati. Negli anni `20 e all'inizio degli anni `30, quest'immagine "barbara, semicivilizzata" dell'Italia non fu estranea alla simpatia con cui gli Stati uniti guardarono al fascismo e a Benito Mussolini, considerato l'uomo adatto per questo paese "non ancora pronto per la democrazia". Fu quest'idea dell'Italia che spinse i militari americani a servirsi di Lucky Luciano durante lo sbarco in Sicilia nel 1943. Dopo la guerra, fino al crollo dell'Urss, l'Italia godette di uno statuto privilegiato e del tutto abnorme, dovuto alla sua posizione di frontiera, frontiera geografica, al confine con il blocco sovietico, e frontiera politica per la presenza di un forte partito comunista. Uno statuto privilegiato che però garantiva l'immunità diplomatica a ogni soldato americano di stanza nella nostra penisola, come si è visto nel caso della funicolare del Cermis. Ma dalla fine della guerra fredda, l'Italia ha perso rilevanza strategica ed è tornata a essere un vassallo tra gli altri, un paese di media portata su cui ha di nuovo prevalso l'immagine arcaica che ancora oggi decreta il successo strepitoso negli Usa del serial tv I Sopranos, una famiglia di gangster moderni, che vanno dalla psicanalista.
Non per nulla le associazioni italo-americane continuano a denunciare "l'enorme gap che c'è tra quel che sono realmente gli italo-americani e come sono ritratti, dalla pubblicità, dall'industria dello spettacolo e dal giornalismo americani". Quest'immagine spiega anche la maggiore considerazione politica di cui gode a Washington la Spagna rispetto all'Italia, nonostante l'Italia abbia ancora un peso economico nettamente superiore: gli spagnoli parteciparono solo marginalmente alla grande ondata migratoria del 1880-1920.
Quando si parla della guerra in Iraq, la presenza di un contingente italiano sul terreno non è quasi mai menzionata, mentre la partenza degli spagnoli ha fatto scalpore. Così non può stupire se l'espressione con cui i presidenti Usa stringono le mani ai nostri leader che si recano in pellegrinaggio a Washington per chiedere una legittimazione politica, ricordano da vicino il sorriso dei presidenti francesi quando ricevono all'Eliseo i capi degli stati del loro ex impero coloniale. L'unico modo per rendere davvero rilevante il nostro paese agli occhi di un'amministrazione assai ignorante del resto del mondo, è cancellare mandolini e maccheroni a suon di dimostrazioni contro George W. Bush Junior.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …